Nasce in un tempo particolare un "diario in rete".

Tinkunakama, parola in lingua quechua che potrebbe avvicinarsi alle traduzioni: fino a quando ritorneremo ad incontrarci, oppure ancora: fino alla prossima volta.

Un saluto che non pone fine alla relazione, ad un incontro avvenuto, ma spalanca la speranza futura.

Ci rivedremo, per il momento ti porto nel cuore!

sabato 3 aprile 2021

QUINTA

Locatello 

Venerdì Santo 2 aprile 2mila21

 

 

 

Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: 

 

Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore.

 

Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all'inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".

 

Luca 4,16-21

 

 

 

Il libro che mi è capitato (volutamente ricercato questa mattina), porta la data e il luogo con la scritta in inchiostro rosso: 15 de Junio 2018 Cochabamba. Quasi sempre quando entra un libro nella mia vita, scrivo il giorno e il luogo, e a seguire il mio nome, come a sigillare una proprietà. È un rito anche questo, e soprattutto è un momento di ricchezza interiore e fisica. Può un libro rilassare mente e cuore? Probabilmente si, o per lo meno, è quello che succede in me.

Un libretto acquistato dalle amiche delle Paoline quasi tre anni fa dal titolo: La Iglesia de los pobres en el Concilio Vaticano II, curato da Joan Planellas i Barnosell, un sacerdote della diocesi di Girona.

Ci sono libri e libri, qualcuno che apre a ispirazioni più profonde e a slanci estatici, altri che invece lasciano purtroppo il tempo che trovano. Questo direi che è uno di quegli studi che sbottona il desiderio.

La Chiesa dei poveri nel Concilio Vaticano II, non si ferma solamente all’analisi dei documenti conciliari, ma allaccia nuove prospettive che sembrano pensate domani, anche se scritti e pensati negli anni del fine Concilio.

 

La profezia del Terzo Isaia (Is. 61,1-3), è il centro del discorso che Gesù tiene nella sinagoga del suo villaggio, Nazaret. Per Luca questo discorso ha la stessa importanza del discorso della montagna che Matteo pone in apertura alla predicazione pubblica del Cristo. È, infatti, il programma inaugurale del regno di Dio che Gesù vuole attuare nella storia e per il quale egli è stato inviato dal Padre e consacrato nello Spirito. L’atto fondamentale è quello dell’”evangelo” dei poveri: proclamare, quindi, il grande giubileo della liberazione, della luce, della gioia e della pace. Anche i cristiani sono “consacrati” nel battesimo per impegnarsi con il Cristo nell’attuazione di questo programma così che il regno di Dio sia sempre di più “in mezzo a noi”.

 

Siamo una chiesa conciliare, o almeno vorremmo esserlo. In alcuni ambiti della vita della comunità credente, il Concilio ha trovato spazio, in altre, purtroppo le nostre realtà parrocchiali sono rimaste a 500 anni fa, ma c’è sempre la possibilità di convertire il cuore …

La questione dei “poveri”, è fondamentale e fondante nella vita di Gesù. Oggi ci scuotono il cuore le notizie circa i “nuovi poveri”, malauguratamente sempre in crescita. L’analisi della società contemporanea analizza finemente anche le cause, ma non va oltre con segni di speranza. Restano soltanto numeri che paralizzano all’istante, ma che si nebulizzano l’istante successivo.

 

Il venerdì Santo è un giorno particolarissimo per chi tenta di credere in Gesù, e anche se il brano dell’evangelista Luca è stato proclamato ieri mattina nella Messa Crismale, trova eco soprattutto alle tre di oggi pomeriggio.

Chi sono veramente i poveri? Quali sono le povertà? Io mi sento povero, cioè mancante di qualcosa, di qualcuno?

L’autosufficienza ci fa dire che è faticoso amare la povertà e viverla allo stesso tempo, ma la strada per seguire il Signore è solo una: farsi poveri per lasciarci abbracciare dalle braccia del Padre. L’indipendenza e il clima del “bastare a sé stessi”, governa le nostre giornate, tanto che la morte in croce del Cristo, crea una certa indifferenza anche nei più assidui e ferventi credenti di un tempo.

Ma Quello, non è andato con piacere a morire, e soprattutto a morire su di un legno!!!

I destinatari di quel Messaggio d’Amore siamo noi, poveri e poveracci insieme, che ancora non abbiamo lasciato l’ancora dal porto per salpare con Lui.

 

L’atmosfera diffusa di una scoraggiante stanchezza spicca su tutto e particolarmente su tutti. Fatichiamo a trovare la felicità che ci aiuta a star bene. Le cause sono molteplici e disparate, e ancor più mescolate tra quello che era il “prima” e quello che sarà il “dopo”.

 

 A chi dunque posso paragonare la gente di questa generazione? A chi è simile?  È simile a bambini che, seduti in piazza, gridano gli uni agli altri così:

"Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato,
abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!".

 

Luca 7,31-32

 

Gesù esclama questa sintetica espressione, dopo essere entrato in Cafarnao, aver guarito il servo del centurione, ridato vita al figlio della vedova di Nain, dialogato con i discepoli di Giovanni confusi sul “chi” era veramente Gesù.

Quelli che hanno accettato il Battista hanno potuto scoprire un qualcosa di nuovo, coloro che hanno scoperto Gesù, hanno trovato il Totalmente Nuovo.

Lasciando per un istante il discorso attorno alla fede, ci ritroviamo ad essere scontenti di tutto, giudicanti verso ognuno, impazienti all’impazzata.

Non siamo molti distanti da “quella generazione” di 2000 anni fa. Il dolce suono del flauto non ci fa più ballare, e il triste tono del lamento non ci fa più commuovere.

Siamo così sicuri che ognuno basta a sé stesso? Senza il bisogno dell’altro?

 

Tra poche ore, anzi un’oretta poco più saranno le “tre del pomeriggio”, abbandoniamo quello che stiamo facendo per regalare tempo al Cristo, forse troveremo una piccola luce in risposta al grigiore che ci stiamo creando attorno.

Osiamo ancora una volta, pieghiamo le nostre ginocchia, magari a fatica, in adorazione verso quel glorioso legno.

Il Calvario, diceva un amico vescovo, è solamente questione di ore, poi seguirà la Gioia della Vita: la Risurrezione … e sarà Nuova Vita!

 

 

Auguri di Buona e Santa Pasqua!

 

lukino

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