III domenica di Quaresima 2021
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 2,13-25
Tre brani del vangelo di Giovanni ci accompagneranno d’ora in poi nelle domeniche di quaresima, brani che in modi diversi hanno sempre a che fare con due temi di fondo: il senso della persona di Gesù e la nostra adesione di fede a lui.
Nel brano di questa domenica, Gesù parla di sé in confronto con l’istituzione più sacra d’Israele: il tempio (la discussione attorno al tempio rappresentava un aspetto vivo delle preoccupazioni religiose di Israele). Muovendo dalle continue critiche con cui già i profeti contestavano il culto falso e ipocrita che vi si celebrava, anche al tempo di Gesù molti gruppi avevano forti aspetti sulla validità dei sacrifici che venivano offerti nel tempio, che con Erode avevano raggiunto il livello più alto della sua maestà e bellezze esteriore.
L’episodio comincia con l’accenno alla Pasqua, chiamata però “Pasqua dei Giudei”, che Gesù sale a festeggiare nella città santa.
Per il momento, Gesù compie un gesto sullo stile di quello dei profeti, un gesto dimostrativo che, simbolicamente, rende già attuale e operante la novità di cui egli è portatore. Anche l’immagine di Dio viene purificata, dato che il commercio della materia dei sacrifici (colombe, pecore e buoi) veniva emblematicamente espresso il carattere ipocrita del culto, che faceva del rapporto con Dio una transazione commerciale: Dio come uno dal quale si devono comprare favori e non come uno al quale consegnare il cuore per convertirlo. Il gesto profetico di Gesù segnalava l’inizio dell’offerta di una vera riconciliazione, di un vero rapporto vitale e filiale con il Padre, che cambia la vita.
I giudei rispondono, invece, chiedendo un segno: nell’insieme del vangelo è la reazione tipica di chi non ha intenzione di fare il passo della fede, per cui chiede un gesto straordinario che dispensi dalla fede.
La conclusione del brano, verte ancora sulla fede: da una parte, la fede dei discepoli; dall’altra quella dei molti che a Gerusalemme credono a Gesù per i segni che fa.
Per giovani
Il volto: l’apparire e l’apparenza
Appunti per un viaggio spirituale
Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.
Apocalisse 1
Apparenza
Vedere qualcuno e restituirgli uno sguardo è già credere a una sua germinale offerta. Vedere non è mai semplicemente costatare dati di fatto: è sempre già credere. Il fascino del volto è in quel possibile futuro che si apre: nel quale occorre scommettere.
Nel volto altrui appare di più di quel che si vede: offerta, promessa, disponibilità… Anche se tutto questo non sempre va da sé e come ogni cosa degli uomini, anche la più sacra, può essere dissimulata, tradita, manipolata. C’è un modo di apparire che non contiene in realtà nessuna promessa: c’è un modo di apparire che è semplicemente apparenza.
Quando presentare il proprio volto, la propria immagine, il proprio corpo non contiene in sé un rimando a nessun futuro, nessun discreto e sincero rimando a un’amicizia da stringere. È invece vuoto. L’apparenza è appunto mostrare tutto subito: per tentare di nascondere il fatto che oltre qual che si vede a pelle non c’è nient’altro: nessuna promessa, nessun impegno. Niente. Oppure per tentare di dissimulare il fatto che dietro quel che si vede c’è dell’altro. C’è tutt’altro che una promessa: esitazione, pavidità, indecisione, o addirittura intenzioni cattive, ostilità. Ci sono mille trucchi e mille mode e mille retoriche che consentono, a chi in fondo ha paura del futuro e dell’impegno che esso richiede, di rifugiarsi nelle forme dell’apparenza.
Povertà
Non è facile riconoscersi per quello che si è, soprattutto di fronte agli altri. Perché. Lo sappiamo bene, anche se facciamo fatica ad ammetterlo, siamo poveri, poveri di idee, di bontà, di generosità, passione… Forse è per nascondere questa povertà che ricopriamo il volto di monili d’oro. In realtà l’incontro con l’altro non ha bisogno di giustificazioni o paraventi, ma di sincerità. Ti senti povero? Ti pesa accettarlo? Che senso dona alla tua vita?
Pre-adolescenti (I-II-III media)
VIVERE TRA AMICI
In questa poesia è racchiuso l’imperativo etico per ogni uomo e donna: una coerenza che non rinuncia a vivere e a mettersi in gioco, senza rinunciare a essere.
La vita è ciò che facciamo di essa.
I viaggi sono i viaggiatori.
Ciò che vediamo
non è ciò che vediamo,
ma ciò che siamo.
F. Pessoa
La sapienza è da sempre dote divina, la capacità di vedere oltre le cose di ogni giorno, per accedere a un senso della vita che libera dalla meschinità e dall’ipocrisia. Chi si ferma a pregare in una cappella e chi compie un lungo pellegrinaggio compiono la stessa cosa.
Ci sono due metodi per diventare saggi.
Il primo consiste nel girare il mondo e scoprire quanto più possibile della divina creazione e il secondo è quello di mettere radici in un luogo e osservare con la massima attenzione ciò che vi succede. Il problema è che non si può assolutamente dare entrambe le cose nello stesso tempo.
J. Gaarder, Il viaggio di Elisabet
Segui pagina 44-45 del sussidio della quaresima: “ Dico a te alzati”.
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