Nasce in un tempo particolare un "diario in rete".

Tinkunakama, parola in lingua quechua che potrebbe avvicinarsi alle traduzioni: fino a quando ritorneremo ad incontrarci, oppure ancora: fino alla prossima volta.

Un saluto che non pone fine alla relazione, ad un incontro avvenuto, ma spalanca la speranza futura.

Ci rivedremo, per il momento ti porto nel cuore!

martedì 19 gennaio 2021

II DOMENICA DEL T.O. 2021


CERCARE                                                                                II domenica del T.O. 2021

 

 

Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 1,35-42

 

Anche per il vangelo di Giovanni, come per i sinottici, il ministero pubblico di Gesù inizia con la chiamata dei primi discepoli, ma grande è la differenza con cui viene presentato il loro primo incontro con il maestro.

Mentre in Marco e Matteo la chiamata dei primi è fatta direttamente da Gesù, qui invece è il Battista che indirizza i primi due discepoli a Gesù. Se Matteo e Marco sottolineano la prontezza della risposta da parte di quegli uomini che erano intenti alla pesca, il quarto vangelo evidenzia che un testimone (il Battista) fa da tramite tra loro e Gesù. Essi inoltre sono presentati come persone in ricerca, a tal punto che si sono messi alla scuola di un maestro autorevole come il Battista.

Alcuni insegnamenti preziosi:

1.     L’importanza dei testimoni per incontrare Gesù. Il battista è l’immagine di tutti coloro che, dando testimonianza autentica di Gesù, rimandano a lui e conducono a lui altri che desiderano conoscerlo

2.     I discepoli domandano non solo “dove abiti”, ma “dove dimori”. La dimora di Gesù non va infatti presa semplicemente nel senso banale di “luogo di residenza”: nel vangelo di Giovanni, il verbo dimorare ha un significato ben più profondo. Con la loro domanda i discepoli chiedono: facci vedere il segreto della tua vita, quel segreto che il vangelo mostrerà essere la sua intima unione col Padre.

3.     Dopo l’incontro dei primi due discepoli, ne seguono altri, in una successione che dice la fecondità della testimonianza nata dall’aver trovato il Signore. Giovanni colloca a questo punto la chiamata di Pietro, che viene condotto a Gesù dal fratello Andrea. (Stavano cercando insieme, entrambi accomunati dal desiderio di trovarlo). Ma la chiamata del fratello non servirebbe a niente, se poi non fosse Gesù stesso a chiamare.

4.     Gesù fissa lo sguardo su Simone e dice: ti chiamerai Cefa; la trasformazione del nome indica la trasformazione della persona, attraverso l’amore. In questo caso la parola Cefa (roccia) ha anche un significato ecclesiale: il vangelo di Giovanni riserva un grandissimo ruolo a Pietro, chiamato a pascere le pecore di Gesù. Ma Pietro non può dimenticare mai di essere un discepolo, uno che vive per la grazia di essere stato chiamato.

 

Per giovani 

Il volto: l’apparire e l’apparenza

Appunti per un viaggio spirituale

 

 

Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.

Apocalisse 1

Rivelazione 

 

Cosa mi fa l’altro quando lo incontro? Fa questo: mi parla di me. In tanti modi dice quello che io sono.

Mi ri-conosce, nel senso che mi conosce in altro modo rispetto a quello col quale mi conosco io: o credo di sapere di me.

Dall’altro (in tanti modi) vengo a sapere di me stesso: di quello che sono nell’agire piuttosto che di quello che credo di essere; e per questo cercherò di agire affinché il modo con cui l’altro mi ri-conosce sia lo stesso di quello col quale mi conosco io.

L’altro in qualche modo fa conoscere me a me stesso: mi rivela. Nell’esperienza dell’incontro con l’altro fa capolino anche l’intuizione che la vita è fatta anche del dovere. Quello che se deve fare i conti con quello che dovresti essere: la prima elementare forma con cui il senso del dovere affiora alla nostra attenzione è appunto del volto dell’altro.

Moralità 

Riconoscere il volto dell’altro significa riconoscere un fratello, un simile che non si può uccidere perché è terribilmente prossimo.

Pre-adolescenti (I-II-III media) 

 

Io sono un albero

 

Il carrubo

 

Il carrubo è un albero alto, imponente, con un tronco massiccio, con delle foglie spesse e sempreverdi. I suoi frutti, che non si mangiano solitamente di chiamano carrube. Si tratta di baccelli con una buccia molto spessa e una forma vagamente schiacciata sui lati. Questi baccelli, marroni quando sono maturi, custodiscono una polpa rossastra, che è ciò che si mangia, e dei semi molto duri non commestibili. Il frutto ha un sapore dolciastro, simile al cioccolato, e viene considerato un cibo per i poveri, per chi non ha altro con cui sfamarsi. La tradizione cristiana associa questo albero a Giovanni Battista e al suo stile di vita essenziale, ascetico. Giovanni non sedeva ai banchetti dei ricchi, ma si accontentava di ciò che trovava per strada, tra i rami degli alberi. Essendo le carrube un frutto molto duro da masticare, anche se dolce, non era molto ricercato, ma Giovanni lo raccoglieva e mangiava come forma di penitenza.

 

Il carrubo nella bibbia

 

I frutti del carrubo sono considerati un cibo di scarto, per i poveri più poveri. Nella parabola del padre misericordioso il figlio che ha lasciato la casa e dilapidato l’eredità si ritrova a fare il guardiano dei porci ed è costretto, per cibarsi, a mangiare di nascosto le carrube destinate ai maiali (Lc 15,16).

Le carrube sono ritenute dalla tradizione il cibo della penitenza di Giovanni Battista. In realtà questa attribuzione è dovuta a un fraintendimento con le locuste, l’alimento del Battista descritto dai vangeli, probabilmente poco comprensibile per la cultura occidentale che ha trovato nelle carrube una più plausibile traduzione per significare il mangiare dimesso e di penitenza del precursore.

 

 

 

 

 

 

 

 


 

 


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