#4
dono
L’ospite della vigilia
Fuori c’era una nebbia densa come la polenta. Finita la mungitura mi ero dato da fare in cucina intorno al camino. Mentre s’ammucchiava un po' di brace, intagliavo la buccia alle castagne per poi metterle su. Al fornello bolliva la minestra.
Se in quella notte di Natale veniva a terra questa nebbia, perdeva la strada pure la stella cometa. Ma ci sono notti prescritte e devono capitare proprio a qual modo, limpide e pizzicate dal ghiaccio di una stella.
Bofonchiavo così mentre mi apparecchiavo il posto a tavola.
Soprapensiero avevo preso dalla dispensa due piatti anziché uno. E questo? Bah, se sei voluto uscire pure tu, stai lì, mi tieni compagnia. Mi capita di parlottare da solo, per sentire una voce. Mi piace dirmi qualcosa.
Non ho la corrente elettrica, ho smesso di pagarla e me l’hanno staccata. Faccio con le candele e il fuoco nel camino. Era Natale, lo sapevo dal calendario, era pure domenica, due feste in una da lascia correre.
Fuori s’era zittito il mondo. Non veniva nessun suono di motore dalla statale. Ho messo le castagne sulla brace, ho tagliato una cipolla in cima al ciuffo, l’ho svuotata e all’interno ci ho messo un uovo, l’ultimo. Ho coperto con il pezzo tagliato e l’ho messa nel camino, circondata di brace. Ne esce una specialità. Era Natale anche per me.
Mi sono affacciato alla finestra. Bello starsene imbottiti dentro casa e dentro la nebbia. Mi sono strofinato le mani per vedere se mi veniva un poco di allegria.
Invece sono venuti un paio di fari: dalla statale avevano imboccato il mio sentiero. Avanzavano piano.
Il furgone arrivò al mio cortile e spense il motore. Non successe nient’altro. Non uscì nessuno. Mi infilai la giacca e il cappello, accesi la lampada a petrolio e andai a vedere.
Bussai al finestrino.
Un uomo sui cinquanta, più o meno la mia età, abbassò il vetro: “Con questa nebbia non riesco a proseguire. Disturbo se resto qui mentre che passa?”. La faccia era cordiale, dissi di sì.
“Sì? Allora disturbo?”.
Allora dissi no, “Non vuole venire dentro? Qua è freddo e magari la nebbia resta fino a domattina”. “Non voglio disturbare, magari state facendo il cenone”.
“Macché, sto da solo”. Si convinse. Uscì dal furgone, raccattò una borsa e mi seguì. “qui non c’è corrente, l’hanno staccata”.
Seduti innanzi al fuoco gli dissi che per sbaglio quella sera avevo tirato fuori dalla credenza due piatti. Lui tolse dalla borsa un panno in cui era avvolto un salame intero. Poi dalla borsa uscì pure una bottiglia di vino. “È la mia cena, visto che per la nebbia non sono riuscito ad arrivare a casa”.
Tagliò con un coltello, di quelli a molte lame, sturò il vino. Mancava il secondo bicchiere, presi per me una scodella.
Sollevò la bottiglia, disse: “Alla vita”, e versò. Con la minestra nella scodella cominciò a raccontare.
“Vengo diritto dalla Bosnia. Sono stato a fare un viaggio con altri furgoni a portare un po' di roba che serve più a loro che a noi”. Gratis, chiesi. “Sì, da volontari, a spese nostre. Siamo partiti il 19, ritornati oggi”.
Bella mossa, gli dissi. “Ho da badare alle bestie, se no verrei una volta. Non sono mie, nemmeno questa casa, nemmeno questo tavolo, la stalla, niente è mio. Sto a salario”. Mangiammo la minestra, il salame, gli offrii l’uovo cotto alla brace dentro la cipolla. Restammo a chiacchierare, gli chiesi della guerra.
“La nostra specialità di gente umana. È antica quanto noi, non si riesce a stare senza. Non è altro che l’autorizzazione ad ammazzare. Sembra che spunti in ogni generazione. Anche Natale è frutto di una guerra, l’esercito romano che impone in pieno inverno un censimento alla nazione conquistata. E così Maria partorisce lontano da casa. Natale è una notte di pace in mezzo alla guerra”.
A me”, risposi, “dà pace la natura. Anche quando grandina o c’è nebbia da non vedersi i piedi, mi dà pace. Guardo le montagne e mi ritrovo loro coetaneo, di quando la terra le spingeva in alto. Sono più vicino alle bestie in stalla che agli uomini in città”. Sorrise e disse: “Pure il bambinello è venuto al mondo più vicino alle bestie che agli uomini”.
Sbucciammo le castagne pronte.
Andavamo dietro ai pensieri, come fa il vento con le nuvole. Sotto le parole si sentiva il brusio e lo scrocchio delle castagne sgusciate dalle dita.
Lui disse ancora: “Ho bisogno di avere un po' di fede, ringraziare qualcuno. Non è opera nostra questo mondo, neanche il fuoco che ci sta scaldando. Chi ha fatto il legno adatto per bruciare? E la nebbia che fa incontrare le persone? Mi serve un po' di fede, come uno spago per tenere insieme”.
Aspettai sette respiri prima di rispondere. Quante parole, venute tutte insieme, mi ballavano a festa dentro le orecchie disabituate. Mi tenevo le nocche in grembo e sorridevo. “Alla fede non arrivo, credo alla pace, alla buona volontà degli uomini, credo che esiste il diritto a una sera come questa in ogni stanza del mondo”.
Mi dissi a bassa voce: buon Natale. Non per augurio, ma per risultato: era un buon Natale quello che mi capitava, portato sulla slitta della nebbia. Era cominciato con un piatto in più tirato fuori dalla credenza.
Da allora faccio la stessa mossa ogni Natale, apparecchio per due.
Erri De Luca
Tra poche ore sarà nuovamente Natale. Come ogni anno lo attendiamo, ma il venticinque dicembre duemila venti sarà un qualcosa di assolutamente nuovo.
Venire alla luce, cioè nascere, racchiude e schiude già in sé una novità che si chiama VITA.
Quattro settimane di cammino passando dal deserto, scendendo al Giordano, risalendo a Nazareth, per trovare poi un riparo sicuro in un piccolo paesino di nome Betlemme. Ci siamo fatti compagni di viaggio di coloro che cercavano Giovanni Battista, e qualche goccia di acqua fresca è scesa anche sul nostro capo. Non totalmente sicuri della voce di quell’austero uomo, ci siamo nascosti in un angolo della casa di Nazareth, spiando con gli occhi e ascoltando con le orecchie attente il dialogo tra Gabriele e Maria. Il suo “eccomi”, ha emozionato e spaventato il nostro cuore, ma siamo fatti cosi, cerchiamo conferme e sicurezze in un tempo d’incertezze, e nemmeno quella ragazzetta non ci è bastata per credere.
Ci restava solamente l’ultimo tentativo: seguire Giuseppe che sorreggeva la sua sposa brancolando nel buio dei NO degli albergatori. Avremmo quasi quasi voluto noi ospitare quei novelli sposi in casa nostra, ma forse per paura di non essere all’altezza di donare un letto a due sconosciuti, li abbiamo lasciati in una grotta.
Noi da lontano, come quell’apostolo dopo qualche anno del Bimbo, seguivamo, ma non siamo entrati con loro. Il primo vagito però è parso come uno squillo di trombe nel silenzio più assoluto e totale.
Ci siamo fatti coraggio e mescolati ad alcuni pastori, ci siamo avvicinati per guardare, forse, ancor di più, solamente spiare per curiosità.
Il freddo pungente però, senza chiedere permesso, entrava sotto i nostri vestiti man mano che la notte lasciava spazio alle prime luci dell’alba, e così troppo velocemente siamo ritornati alle nostre calde case.
Siamo stati testimoni oculari della Nascita delle Nascite, ma volevamo esserne veramente certi, così abbiamo chiesto ad alcuni astrologi venuti da oriente quello che fosse veramente successo.
I loro grandi e scuri occhi hanno parlato: era proprio LUI, Gesù!
Dopo pochi giorni, abbiamo sentito che quel Piccolo, ha rischiato anche di venire ucciso per mano di uno che si credeva potente sulla terra.
Poi le nostre strade si divisero per qualche motivo e di Lui e dei suoi genitori non sentimmo più nulla. Solamente dopo circa trent’anni, un Tipo che si chiamava Gesù, figlio di un falegname di nome Giuseppe e sua mamma Maria, ritornò ad appassionare le nostre vite.
Caro Gesù,
abbiamo percorso con te questo duemila e venti. Non ci siamo lasciati mancare nulla e Tu ti sei adattato ai nostri modi di vivere, forse abituato ad adattarti fin dai primi minuti della tua nascita duemila anni fa in quella grotta.
Quest’anno però, come ben sai, è stato veramente faticoso …
Perché sorridi Gesù? Forse perché sai bene quello che stiamo passando e che abbiamo vissuto?
Che domanda sciocca! Certo che sai bene, non ci hai mai lasciati un momento soli!
Ma come fai a non stancarti di noi? Della nostra mediocrità che rasenta quasi l’assurdo? Dai non far finta di nulla, la pazienza ha un limite in tutto.
Come? Cos’hai detto? Perdono? Dobbiamo perdonare?
Si perdonare ma fino ad un certo punto!
E ora perché abbassi la testa con quel sogghigno? Stai dicendo che non ti conosciamo e che non abbiamo imparato nulla da te?
Hai profondamente ragione! Non ci basta più fidarci di Te, vogliamo essere certi di poter credere alla tua parola.
Perdonaci Gesù, ancora una volta …
Anzi, suggerisci qualcosa per questo tempo natalizio. Che ne dici, magari chiudendo le nostre bocche prontissime alla critica, e facendo qualcosa per gli altri, riscopriamo qualcosa che abbiamo volutamente dimenticato? L’A(a)ltro?
Siamo un po' smemorati, viviamo l’emozione del momento, ma poi è la perseveranza che ci blocca nel continuare a cercarti per poi seguirti ogni giorno.
Buon compleanno caro Gesù, e a tutti noi: Buon Natale!
Abbatti i muri che portiamo nei nostri cuori, le invidie, le gelosie, i chiacchiericci inutili e ciarlatani che rallentano il cammino intrapreso insieme… aiutaci a costruire ponti di fratellanza, di prossimità e di profonda carità! Non dimenticare il dono della nostra conversione a Te!
Firmo io queste righe, a nome di tanti che conosci molto bene!
PermettiMi anche un abbraccio!
luca
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