Tecnoscienze, umanità solidale, responsabilità mondiale
Non basta la conoscenza, la presunta “verità” dei numeri e della conoscenza scientifica …. Abbiamo soprattutto bisogno di umanità! È soprattutto questa che abbiamo visto negli occhi e nella volontà di medici, infermieri, volontari, sacerdoti, gente comune, persone anonime … ma capaci di presenza concreta e senza ricerca
della visibilità sociale. Del resto tutto un mondo nascosto e “recluso” ha dimostrato il senso di rispetto degli altri, la condivisione sociale, la disciplina del vivere in comunità e farsi carico anche della vita degli altri. Valori che abbiamo smesso di trasmettere alle generazioni future convinti che la sola conoscenza potesse davvero dominare il mondo e che la scienza, anche quella basata sulle evidenze di base, potesse fare a meno del dubbio e del mistero. Uno scientismo imperante rimette in pista un neopositivismo arcaico di ritorno”! Una candela come simbolo di luce interiore, di vocazione (parola tragicamente caduta in disuso nei nostri linguaggi), di speranza, come dono che ricorda la fragilità e la mortalità della nostra vita. Abbiamo bisogno, fondamentalmente, di umiltà e di sacro rispetto per ciò che ci trascende, che non può essere confinato nei dati delle scienze, con tutto il rispetto dell’ingegno umano e delle sue conquiste. Ce ne rendiamo conto quando ci sentiamo sospesi tra sopravvivenza e morte.
«Ritornare all’essenziale, a ciò che è necessario, sembra essere l’imperativo del Covid-19». Il silenzio assordante di una città che piangeva i propri morti trasportati dai camion dell’esercito dal cimitero di Bergamo ci ha risvegliato alla tragica realtà. Non è più il tempo dei festival improvvisati o delle chiacchiere della piazza.
Ci siamo ritrovati nell’area della impotenza e della caducità, della sofferenza di chi muore o perde improvvisamente persone care, di chi “parte” senza un abbraccio o un saluto caldo e familiare. Abbiamo indossato le mascherine, ma abbiamo dovuto anche esporre il nostro volto più intimo, privo di maschere; spogliati di ogni trucco estetico abbiamo riconosciuto le nostre fragilità, abbiamo riscoperto di partecipare al medesimo destino, ricchi e poveri, famosi e anonimi, credenti e atei, abbiamo riscoperto di appartenere all’umana famiglia con più solidarietà e condivisione, e in nome di ciò ci siamo abbracciati. Potrebbe essere l’occasione per guardare al cammino dell’uomo con più verità, meno “drogati” dalla cultura dell’esibizione e dell’autosufficienza. Un piccolo virus ha ridimensionato i grandi progressi del mondo tecnico e scientifico. Possiamo riscoprire il rispetto per la vita, per la sacralità dell’universo e del mondo, per la natura troppo spesso saccheggiata e inquinata dalla ricerca spasmodica del denaro… lasciando spazio al mistero, all’apertura a ciò che non è riducibile a statistiche e a dati numerici, a un nuovo modo di guardare la nostra storia!
La parola “arresti domiciliari” dice blocco delle attività programmate e già pianificate, su progetti e, su viaggi, su impegni e doveri, appuntamenti e scadenze, perfino su congedi e ferie preordinate e maturate. Il tanto declamato “distanziamento” ci ha costretti a vivere la distanza e abitare la “solitudine”, realtà che abbiamo estromesso in questo mondo di competitività senza regole e di libertà senza limiti!
L’incertezza di questo futuro ha generato ansia, stress, paura, rabbia… siamo stati travolti da un’angoscia di possibile assenza di cibo, abbiamo fatto lunghe file di approvvigionamento nei supermercati per non sentirci condannati a morire di fame! È proprio questa situazione che ci consegna all’imprevedibilità e all’insicurezza, alla paura di un possibile contagio che ci fa dire che “il re è nudo”! Tutto questo è frutto di una coscienza ingenua e arrogante che ci ha spinto a credere in una crescita infinita, capace di moltiplicare redditi e benessere, conoscenze e tecniche per aumentare riuscita materiale e visibilità sociale, che ci ha fatto credere nel prestigio sociale anche senza avere valore personale. È questa filosofia di vita materialistica del “tutto e di più” che ci fa credere al “produrre e consumare” sempre di più, a costo di sacrificare natura, relazioni, pace, persone, popolazioni, futuro!
Questa pandemia ci costringe a guardare il “riduzionismo” tipico dei nostri sistemi economici, politici, educativi che ignorano i limiti della reale capacità biologica del nostro pianeta, sfruttando in modo capriccioso le risorse vitali per una sana convivenza mondiale. Non è più accettabile che società tecnologiche e iperspecializzate convivano a fianco di popolazioni che lottano contro la fame e la sete, che ci siano spostamenti con aerei supersonici e treni ad alta velocità a fianco di migranti che affondano nel mare su fragili barconi. Ancora una volta solo quando ci siamo trovati “nudi”, ci siamo riconosciuti simili, uguali … fratelli! È lì che scatta il meglio della nostra umanità, emerge dal cuore la nostra vera grandezza! Che tutto ciò non diventi oblio; che il dopo possa essere una ri-partenza creativa.
Come immaginiamo la fine della crisi? Il più delle volte come un ritorno alla normalità che conoscevamo prima! «Il dopo sarà terribile», si ripete. Ed è vero, il dopo non sarà affatto una passeggiata. Ma perché fermarsi lì? Perché lasciare che la visione pessimistica e la ripetitività del passato su vecchi binari arrugginiti prendano il sopravvento sulle tante possibilità che la nostra creatività e spiritualità sarebbero capaci di trovare?
C’è bisogno di scoprire una nuova coscienza planetaria, una nuova responsabilità cosmica, globale, che dica la possibilità di un nuovo modo di abitare la terra! Non abbiamo bisogno di eroi, di “dominatori”, di vincitori di guerre commerciali, di surclassare gli altri per non restare indietro (sulla linea ‘mors tua vita mea’)!
Questa pandemia ci spinge ad andare maggiormente in profondità, richiede ormai un’etica e una responsabilità globale, una compassione e una carta etica mondiale che non chiuda lo sguardo sul mistero della vita e lasci aperto l’interrogativo su Dio. Questo potrà aprirci anche a una mistica della fraternità universale che faccia prevalere la solidarietà tra i popoli, le culture, le religioni. Anche le tecnoscienze, tanto utili, non possono sovrapporsi all’etica politica globale. Dietro di noi il passato, avanti a noi … il futuro! In questa antinomia tra futuro e passato, ci ritroviamo a vivere il presente. “Andrà tutto bene?” è lo slogan scritto un po' ovunque. Questo però richiama il tema della responsabilità verso se stessi e gli altri che esige attenzione, cura, pazienza, rispetto delle “regole” per il bene nostro e della collettività… e ci impegna a camminare “insieme” tra persone diverse, tra culture e tra nazioni. E sono proprio i momenti come questi, difficili e imprevedibili, quelli in cui tutti siamo chiamati a tirare fuori il meglio di noi stessi.
Ora tocca a noi fare tesoro di quanto ci possa aver insegnato la difficile esperienza che stiamo ancora affrontando, ma che ci ha reso sicuramente più forti ed uniti, ricordandoci di tutti gli aspetti positivi che abbiamo avuto modo di trovare anche in questo frangente: l’impegno sociale, come il lavoro, le scelte da fare, il volontariato, la solidarietà, la collaborazione reciproca senza distinzioni, il valore di una fede (per chi ce l’ha), il valore della famiglia, dell’amicizia e delle tante cose che abbiamo sempre dato per scontato e, da quanto ci mancano, abbiamo capito che non sono per niente “scontate” e possono venir meno da un giorno all’altro.
Poi, quando l’uragano sarà finito, non sapremo neanche noi come abbiamo fatto a viverlo e a uscirne vivi. Anzi, non saremo nemmeno sicuri se sia finito per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio, ed è che noi, usciti da questa dura prova, non saremo più gli stessi. Sì, questo è il significato di questo tsunami che si è abbattuto sull’umanità. Questo è quello che non possiamo disperdere e dobbiamo riconoscere se vogliamo crescere in umanità. Impareremo la lezione o sarà tutto come prima?
don Giuseppe Belotti
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