[…] Qualche volta il destino assomiglia a una tempesta di sabbia che muta incessantemente la direzione del percorso. Per evitarlo cambi l’andatura. E il vento cambia l’andatura, per seguirti meglio. Tu allora cambi di nuovo, e subito di nuovo il vento cambia per adattarsi al tuo passo.
Questo si ripete infinite volte, come una danza sinistra col dio della morte prima dell’alba. Poiché quel vento non è qualcosa che è arrivato da lontano, indipendentemente da te. È qualcosa che hai dentro. Quel vento sei tu. Perciò l’unica cosa che puoi fare è entrarci, in quel vento, camminando dritto, e chiudendo forte gli occhi per non far entrare la sabbia. Attraversalo, un passo dopo l’altro. Non troverai né sole né luna, nessuna direzione, e forse nemmeno il tempo. Soltanto una sabbia bianca, finissima, come fosse fatta di ossa polverizzate, che danza in alto nel cielo. Devi immaginare questa tempesta di sabbia.
Immagino questa tempesta di sabbia. Un vortice bianco che sale dritto verso il cielo come una grossa fune. Usando tutt’e due le mani mi tappo con forza occhi e bocca per impedire che quella sabbia finissima mi entri nel corpo. La tempesta si avvicina sempre di più, punta verso di me. Non mi ha ancora raggiunto, ma già sento sulla pelle la forza del vento. Da un momento all’altro potrebbe inghiottirmi.
[…] E naturalmente dovrai attraversarla, quella violenta tempesta di sabbia. È una tempesta metafisica e simbolica. Ma per quanto metafisica e simbolica, lacera la carna come mille rasoi. Molte persone verseranno il loro sangue, e anche tu forse verserai il tuo. Sangue caldo e rosso. Che ti macchierà le mani. È il tuo sangue, e anche il sangue di altri.
Poi, quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai nemmeno sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c’è dubbio. Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi era entrato. Sì, questo è il significato di quella tempesta di sabbia.
[…] Devi diventare una carta assorbente. In seguito, farai sempre in tempo a decidere cosa mantenere e cosa buttare.
Murakami, Kafka sulla spiaggia
Il passaggio sia con segno più che con segno meno è una componente presente nella vita dell’uomo. Si potrebbe dire che lo sperimentiamo ogni giorno, nel “qui ed ora” persino in ogni frazione d’istante della miniatura quotidiana provocando interrogativi spesse volte irrisolti.
Un’accelerazione repentina sembra aver colpito le vite della collettività passando alla diffusione come “pandemia”. Una transizione mondiale ed irreversibile sta colpendo le vite di alcuni e modificando il modo di essere di tutti lasciando talvolta l’anima vuota.
Dal mese di febbraio veniamo informati e deformati da report catastrofici, stime che scomodano matematici e interi campus di scienziati fino ad arrivare ai ricami su il tutto e il nulla offerti dai talkshow.
L’imperativo “State a casa!” diffuso dai canali digitali sembra essere diventato un presente indicativo da declinare su noi stessi e sui nostri prolungamenti artificiali o naturali. Amici, parenti e conoscenti si incontrano in piazze virtuali che riescono a contenere la copresenza di duecentocinquanta persone. Siamo vicini a tutti e a nessuno.
L’orologio sincronizzato allo smartphone registra messaggi dal carattere sagace e umoristico, avvisi e sanzioni severe da rispettare per evitare qualsiasi forma di evasione del contenimento.
La morte entro questo scenario sembra aver preso il sopravvento sulla vita, la speranza è riposta nel sopravvivere a dispetto del vivere.
L’ambiente domestico, vissuto come appoggio per il ristoro di anima e corpo, è diventato una fortezza da abbandonare solo in caso di comprovato motivo con carattere d’urgenza.
Il tempo passato resta un confortevole ricordo mentre il futuro diviene una novità contrassegnata da un grande punto interrogativo.
I confini sono stati debitamente ridisegnati e le distanze nazionalmente condivise prevedono che per convenzione le persone stiano distanti almeno un metro l’una dall’altra.
Date queste premesse l’arte del tessere relazioni è stata riconvertita in introspezione e nella capacità di guardarci dentro e scoprirci simili agli altri.
Durante la Benedizione Urbi et Orbi, Papa Francesco ha affermato che “ci siamo resi conto di trovarci sulla stessa barca, tutti fragili e disorientati, ma tutti chiamati a remare insieme”.
Intorpiditi quasi vittime di un brutto sogno dai colori scuri siamo chiamati a rispondere senza demandare al domani.
Anche se l’agenda sembra essere congelata, “salvo diverse indicazioni” fornite da decreti ministeriali, il nostro percorso di uomini e donne di fede continua a porte chiuse.
Il periodo quaresimale in modalità quarantena sta per concludersi lasciando spazio alla luce della Risurrezione. La speranza è che questa severa lezione possa lasciare l’insegnamento del trovare sempre un orientamento per vivere l’evoluzione del nostro cammino non essendo ostacolo della stessa.
Giulia
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