Nasce in un tempo particolare un "diario in rete".

Tinkunakama, parola in lingua quechua che potrebbe avvicinarsi alle traduzioni: fino a quando ritorneremo ad incontrarci, oppure ancora: fino alla prossima volta.

Un saluto che non pone fine alla relazione, ad un incontro avvenuto, ma spalanca la speranza futura.

Ci rivedremo, per il momento ti porto nel cuore!

domenica 26 aprile 2020

III DOMENICA DI PASQUA



Ritrovare la speranza

I racconti pasquali ci rivelano diverse vie per incontrarci con il Risorto. Il racconto di Emmaus è, forse, quello più significativo, e senza dubbio il più straordinario. La situazione dei discepoli è ben descritta fin dal principio, e riflette uno stato d'animo in cui possiamo trovarci anche noi oggi. I discepoli possiedono apparentemente tutto il necessario per credere. Conoscono gli scritti dell'Antico Testamento, il messaggio di Gesù, il suo operato e la sua morte in croce. Hanno anche ascoltato il messaggio della risurrezione. Le donne hanno comunicato la propria esperienza, annunciando loro che «è vivo». Tutto inutile. Essi continuano il loro cammino immersi nella tristezza e nello scoraggiamento. Tutte le speranze riposte in Gesù sono svanite con il fallimento della croce.



L'evangelista suggerisce due vie per ritrovare la fede viva nel Risorto. La prima è l'ascolto della Parola di Gesù. Nonostante tutto, quei discepoli continuano a pensare a Gesù, parlando di lui, interrogandosi su di lui. Ed è proprio allora che il Risorto si fa presente sul loro cammino. Gesù si trova là dove alcuni uomini e donne si ricordano di lui e si interrogano sul significato del suo messaggio e della sua persona, anche se sono incapaci di riconoscerne la presenza.
Non aspettiamoci grandi prodigi. Se talvolta, ascoltando il Vangelo di Gesù e ricordandone le parole, abbiamo sentito «ardere in noi il nostro cuore», non dimentichiamoci che egli cammina accanto a noi.
L'evangelista ci ricorda una seconda esperienza. È il gesto dell'eucaristia. I discepoli trattengono il viandante sconosciuto per cenare insieme nel villaggio di Emmaus. Il gesto è semplice, ma sincero. Dei viandanti stanchi per il viaggio si siedono a condividere la stessa mensa. Si accettano come amici e riposano insieme dalle fatiche di un lungo cammino. È allora che ai discepoli si «aprono gli occhi» e scoprono Gesù come qualcuno che nutre la loro vita, li sostiene nella stanchezza e li rafforza lungo la via.
Se talvolta, per quanto piccola possa essere la nostra esperienza, celebrando l'eucaristia ci sentiamo rafforzati lungo la nostra via e incoraggiati a continuare il nostro vivere quotidiano, non dimentichiamo che è Gesù colui che alimenta la nostra vita e la nostra fede.

Due esperienze chiave

Passando gli anni, nelle comunità cristiane si andò ponendo un problema molto concreto. Pietro, Maria Maddalena e gli altri discepoli avevano vissuto esperienze molto «speciali» di incontro con Gesù vivo dopo la sua morte. Esperienze che li portarono a «credere» in Gesù risorto. Ma quelli che si erano accostati in seguito al gruppo dei seguaci, in che modo potevano far nascere e nutrire quella stessa fede?
Questo è anche il nostro problema di oggi. Noi non abbiamo sperimentato l'incontro con il Risorto vissuto dai primi discepoli. Su quali esperienze possiamo dunque contare? Questo è quanto viene prospettato dal racconto dei discepoli di Emmaus.
I due camminano verso le proprie case, tristi e scoraggiati. La loro fede in Gesù si è spenta. Non sperano più nulla da lui. È stata tutta un'illusione. Gesù, che li segue senza farsi notare, li raggiunge e cammina con loro. Luca espone così la situazione: «Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo». Che cosa possono fare per sperimentare la sua presenza viva insieme a loro?
L'importante è che questi discepoli non dimenticano Gesù; «conversano e discutono» su di lui; ricordano le sue «parole» e le sue «opere» da grande profeta; lasciano che quello sconosciuto spieghi loro quanto è accaduto. I loro occhi non si aprono subito, ma «il loro cuore comincia ad ardere in loro».
È la prima cosa di cui abbiamo bisogno nelle nostre comunità: ricordare Gesù, andare a fondo del suo messaggio e del suo operato, meditare sulla sua crocifissione... Se, a un certo momento, Gesù ci commuove, le sue parole ci arrivano dentro e il nostro cuore comincia ad ardere, è il segno che la nostra fede sta nascendo.
Non basta. Secondo Luca è necessaria l'esperienza della cena eucaristica. Anche se non sanno ancora chi sia, i due viandanti sentono il bisogno di Gesù. La sua compagnia fa loro bene. Non vogliono che li lasci: «Resta con noi». Luca lo sottolinea con gioia: «Gesù entrò per rimanere con loro». Durante la cena i loro occhi si aprono.
Sono queste le due esperienze chiave: sentire che il nostro cuore arde nel ricordare il suo messaggio, il suo operato e tutta la sua vita; sentire che, celebrando l'eucaristia, la sua persona ci nutre, ci rafforza e ci consola. Così nella Chiesa cresce la fede nel Risorto.

Il contatto personale con Gesù

Sulla via di Emmaus, due discepoli camminano con aria triste. Non hanno meta né obiettivo. La loro speranza si è spenta. Gesù è scomparso dalla loro vita. Parlano e discutono di lui, ma, quando egli si avvicina a loro pieno di vita, i loro occhi «sono impediti a riconoscerlo».
Gesù li aveva immaginati diversamente quando li aveva inviati a due a due: pieni di vita, che portano la pace in ogni casa, che danno sollievo alla sofferenza, che guariscono la vita e annunciano a tutti che Dio è vicino e si preoccupa di noi.
Apparentemente, questi discepóli hanno il necessario per mantenere viva la fede, ma qualcosa è morto in loro. Conoscono le sacre Scritture: ma a loro non servono a nulla. Hanno ascoltato il Vangelo in Galilea: ora tutto sembra un'illusione del passato. È giunto loro l'annuncio che Gesù è vivo: cose da donne; chi può credere a una cosa del genere? Quei discepoli hanno tutto, ma non hanno nulla. Manca loro l'unica cosa che può fare «ardere» il loro cuore: il contatto personale con Gesù vivo.
Non sarà questo il nostro problema? Perché tanta mediocrità e delusione tra noi? Perché tanta indifferenza e abitudine? Si predica di continuo la dottrina cristiana; si scrivono eccellenti encicliche e lettere pastorali; si pubblicano eruditi studi su Gesù. Non mancano le parole e le celebrazioni. Ci manca forse un'esperienza più viva di qualcuno che non può essere sostituito da nulla e da nessuno: Gesù Cristo, il Vivente.
Non basta celebrare in un modo qualunque messe né leggere testi biblici. Il racconto di Emmaus parla di due esperienze basilari. I discepoli non leggono un testo, ascoltano la voce inconfondibile di Gesù che fa ardere il loro cuore. Non celebrano una liturgia, si siedono da amici alla stessa mensa e scoprono insieme che è Gesù in persona a nutrirli.
Perché continuare a fare cose in un modo che non ci trasforma? Non abbiamo innanzi tutto bisogno di un contatto più reale con Gesù? Di una nuova semplicità? Di una fede diversa? Non abbiamo bisogno di imparare a vivere tutto con maggiore verità e a partire da una nuova dimensione? Se Gesù scompare dal nostro cuore, tutto il resto è inutile.

Ricordare di più Gesù

Il racconto dei discepoli di Emmaus ci descrive l'esperienza vissuta dai due seguaci di Gesù mentre camminano da Gerusalemme verso il piccolo villaggio di Emmaus, distante circa undici chilometri dalla capitale. Il narratore lo fa con tale maestria che ancora oggi ci aiuta a ravvivare la nostra fede in Cristo risorto.
Due discepoli di Gesù si allontanano da Gerusalemme, abbandonando il gruppo di seguaci che si è andato formando intorno a lui. Morto Gesù, il gruppo si va disfacendo. Senza di lui non ha senso continuare a rimanere insieme. Il sogno è svanito. Alla morte di Gesù muore anche la speranza che egli aveva fatto nascere nel loro cuore. Non sta succedendo qualcosa del genere nelle nostre comunità? Non stiamo lasciando morire la fede in Gesù?
Tuttavia, quei discepoli continuano a parlare di Gesù. Non lo possono dimenticare. Commentano l'accaduto. Cercano di trovare un senso a quello che hanno vissuto insieme a lui. «Mentre conversano, Gesù in persona si avvicina e cammina con loro». È il primo gesto del Risorto. I discepoli non possono riconoscerlo, ma Gesù è già presente e cammina con loro. Gesù non cammina anche oggi in modo velato con tanti credenti che abbandonano la Chiesa, ma che continuano a ricordarlo?
L'intenzione del narratore è chiara: Gesù si avvicina quando i discepoli lo ricordano e parlano di lui. Si fa presente là dove si commenta il suo Vangelo, dove c'è interesse per il suo messaggio, dove si conversa sul suo stile di vita e sul suo progetto. Non è, forse, che Gesù è tanto assente tra noi perché parliamo poco di lui?
Gesù è interessato a conversare insieme a loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Non si impone rivelando loro la sua identità. Chiede che essi continuino a raccontare la loro esperienza. Conversando con lui scopriranno la propria cecità. I loro occhi si apriranno quando, guidati dalla sua parola, avranno fatto un percorso interiore. È così. Se nella Chiesa parliamo di più di Gesù e conversiamo di più insieme a lui, la nostra fede rivivrà.
I discepoli gli parlano delle loro aspettative e delle loro delusioni; Gesù li aiuta ad approfondire l'identità del Messia crocifisso. Il cuore dei discepoli comincia ad ardere; essi sentono la necessità che quello «sconosciuto» resti con loro. Mentre celebrano la cena eucaristica, si aprono i loro occhi e lo riconoscono: Gesù è con loro e nutre la loro fede!
Noi cristiani dobbiamo ricordare di più Gesù: citarne le parole, commentarne lo stile di vita, approfondire il suo progetto. Dobbiamo aprire di più gli occhi della nostra fede e scoprirlo pieno di vita nelle nostre eucaristie. Gesù non è assente. Cammina con noi.

Non fuggirsene a Emmaus

Non sono pochi coloro che oggi guardano alla Chiesa con pessimismo e delusione. Non è la Chiesa che desidererebbero. Vorrebbero una Chiesa viva e dinamica, fedele a Gesù Cristo, impegnata per davvero nella costruzione di una società più umana.
La vedono immobile e disorientata, eccessivamente impegnata nel difendere una morale obsoleta che ormai interessa a pochi, facendo sforzi penosi per recuperare una credibilità che sembra trovarsi «al di sotto del minimo storico». La percepiscono come un'istituzione che è lì quasi sempre per accusare e condannare, poche volte per aiutare e infondere speranza nel cuore dell'uomo. La sentono spesso triste e noiosa, e in un certo modo intuiscono - con lo scrittore francese Georges Bernanos - che «il contrario di un popolo cristiano è un popolo triste».
È facile la tentazione dell'abbandono e della fuga. Alcuni l'hanno fatto da tempo, persino in modo clamoroso: oggi affermano quasi con orgoglio di credere in Dio, ma non nella Chiesa. Altri se ne stanno allontanando poco a poco, «in punta di piedi e senza far rumore»: senza che quasi nessuno se ne accorga si va spegnendo nel loro cuore l'affetto e l'adesione di altri tempi.
Sarebbe di certo un errore nutrire un ottimismo ingenuo, pensando che verranno tempi migliori. Ancora più grave sarebbe chiudere gli occhi e ignorare la mediocrità e il peccato della Chiesa. Ma il nostro peccato più grande sarebbe «fuggircene a Emmaus», abbandonare la comunità prendendo ognuno la propria via, immersi nella delusione e disingannati.
Dobbiamo imparare la «lezione di Emmaus». La soluzione non consiste nell'abbandonare la Chiesa, ma nel riprendere i nostri rapporti con qualche gruppo cristiano, comunità, movimento o parrocchia dove poter condividere e ravvivare la nostra speranza in Gesù.
Dove degli uomini e delle donne camminano chiedendosi di lui e approfondendone il messaggio, là il Risorto si fa presente. È facile che un giorno, ascoltando il Vangelo sentano di nuovo «ardere il loro cuore». Dove dei credenti si incontrano per celebrare insieme l'eucaristia, là si trova il Risorto che nutre le loro vite. È facile che un giorno «si aprano i loro occhi» e lo vedano.
Per quanto morta possa apparire ai nostri occhi, in questa Chiesa abita il Risorto. Per questo anche qui hanno senso i versi di Antonio Machado: «Ho creduto spento il mio focolare, e ho attizzato la cenere... mi son bruciato la mano».

(Jose A. Pagola, La via aperta da Gesù /3. Luca, Borla 2012, pp. 280-286)

1 commento:

  1. Grazie Gesù per la tua Parola e la tua viva presenza nella Eucaristia
    Apri i nostri occhi e il nostro cuore per poterti vedere accanto a noi

    RispondiElimina

post recenti