Nasce in un tempo particolare un "diario in rete".

Tinkunakama, parola in lingua quechua che potrebbe avvicinarsi alle traduzioni: fino a quando ritorneremo ad incontrarci, oppure ancora: fino alla prossima volta.

Un saluto che non pone fine alla relazione, ad un incontro avvenuto, ma spalanca la speranza futura.

Ci rivedremo, per il momento ti porto nel cuore!

sabato 4 aprile 2020

DOMENICA DELLE PALME

La Settimana Santa è la celebrazione dossologica della nostra fede cristiana: essa infatti ci fa seguire Gesù il giusto nella sua passione, nella sua morte e nella sua resurrezione.
Non si tratta dunque di celebrare pietisticamente un evento di dolore ma di unirci al Signore che respinto dagli uomini prega il Padre per la Salvezza del mondo. Il cristiano, unito a Cristo fin dal battesimo, pronuncia le parole della Sua angoscia, viene coinvolto nel rifiuto degli empi e nella vergogna della croce, restando fedelmente in attesa della Resurrezione: solo così egli instaura nella verità una comunione profonda con il Signore e con tutti i perseguitati della terra. I salmi, i responsori, i cantici, le lamentazioni profetiche che costituiscono la preghiera di ogni giorno della Settimana Santa devono accompagnarci nella contemplazione del grande mistero proclamato dalla lettura biblica, vera Parola di Dio efficace, capace di farci morire e risuscitare con Cristo. Per molti, il vivere la Settimana Santa nella preghiera e nell’ascolto celebrando il mistero pasquale nella comunità cristiana, ha significato porre un solido fondamento alla loro fede.
Secondo l’antica tradizione, il sabato precedente le Palme si ricorda la resurrezione di Lazzaro: colui che ha vinto la morte risuscitando l’amico va verso la Passione con il segno della sua propria Resurrezione. Nel giorno delle Palme la liturgia canta il Cristo che regna perché ha scelto non la potenza ma l’umiltà e la mitezza di chi cavalca un asinello e riceve l’omaggio dei fanciulli.
Nel corso della Settimana Santa le letture delle preghiere del mattino ci ricordano i fatti degli ultimi giorni della vita di Gesù: alla sera c’è invece sempre il racconto della Passione. Così il lunedì mattina ricordiamo la maledizione del fico e la purificazione del tempio; il martedì mattina la predicazione di Gesù sui vignaioli omicidi del Figlio unico, il mercoledì mattina il complotto dei capi e il tradimento di Giuda e l’unzione di Maria a Betania. Il giovedì ricordiamo i preparativi per la cena e la sua celebrazione ebraica, memoria dell’uscita dall’Egitto quando Gesù ci dona il suo corpo e il suo sangue in una nuova alleanza, dopo avere lavato i piedi agli apostoli: lui il Signore e Maestro fattosi schiavo.
Il venerdì santo ricordiamo la morte di Gesù immolato sulla croce vero agnello pasquale che ha tolto il peccato dal mondo. Di fronte al Crocifisso la chiesa fa una grande intercessione nel pomeriggio e alla sera lo contempla nella sepoltura, unto di olio, aromi e profumi dalle discepole, da sua Madre e dai discepoli che non erano fuggiti abbandonandolo alla passione.
Il sabato santo è il giorno della discesa agli inferi. Gesù sembra inoperante perché il suo corpo giace nel sepolcro ma come Signore scende all’inferno per annunciare la sua vittoria ai prigionieri della morte. Ma dopo gli otto giorni che sono stati una sola grande celebrazione della Passione, nella notte della domenica risuona il canto di vittoria: Cristo è risorto! È veramente risorto! 
La Chiesa è in festa e l’Alleluia cantato nella liturgia esprime la gioia traboccante di chi avendo seguito il giusto ora è risorto con lui a vita nuova per sempre!
Che queste tracce di liturgia pasquale possano aiutare i cristiani a rinfrancare e ad esprimere la loro fede in Gesù Cristo, il Signore morto in croce ma Vivente per sempre.

La comunità di Bose
10 febbraio 1981




Partecipare alla celebrazione liturgica dovrebbe generare l’esperienza della visibilità - nei segni sacramentali - di ciò che è invisibile, di ciò che si trova sull’”altro lato” della realtà. Ma sembra ormai che gli uomini contemporanei vivano, invece, in un mondo autosufficiente e autogiustificato dove l’incontro, “in ascolto e in obbedienza”, con una realtà “altra” – la redenzione e la salvezza per “pura grazia”, non come conquista – non sia percepibile, né tanto meno esaltato, nel momento liturgico.
Si direbbe quasi che le celebrazioni quotidiane e domenicali, anche quando non sono ridotte a mera abitudine, abbiano l’unico valore di gesto ripetuto, in una fede “nuda” e in una povertà di atteggiamenti e parole che non diventano senso, autentica esperienza di vita.
La settimana santa, scandita in tempi liturgici forti, è forse il solo momento in cui è ancora possibile una celebrazione vera, capace di imporsi ai ritmi profani del vivere quotidiano.
Si avverte allora, come una necessità imprescindibile, il tempo del silenzio e della meditazione personale, perché gli occhi sappiano vedere e il cuore possa ascoltare il Signore che rivive la Passione e la Risurrezione nei gesti e nelle parole della liturgia, evitando la banalizzazione di una curiosità o di un’emozione momentanea.

Card. Gianfranco Ravasi

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