Nasce in un tempo particolare un "diario in rete".

Tinkunakama, parola in lingua quechua che potrebbe avvicinarsi alle traduzioni: fino a quando ritorneremo ad incontrarci, oppure ancora: fino alla prossima volta.

Un saluto che non pone fine alla relazione, ad un incontro avvenuto, ma spalanca la speranza futura.

Ci rivedremo, per il momento ti porto nel cuore!

venerdì 13 marzo 2020

PRIMA

PRIMA
























Locatello 
Venerdì 13 marzo 2mila20



(questi fantasmi)

E: Non sembra anche a te, di notte in tenda, che fuori ci sia qualcun che si aggira, che cerca di entrare, di farsi sentire? Per essere una notte senza vento, questa è piena di spifferi e fruscii. Lo so che non può esserci nessuno, ma non ti viene mai un’altra sensazione, cioè che c’è sempre qualcuno intorno a noi che non riesce a toccarci e ci prova di continuo, per disperazione di non esserci più, per nostalgia della vita? In una mia storia napoletana racconto un ragazzino che si accorge di loro, che arriva a sentire le loro carezze. In quella città di dopoguerra i fantasmi esistevano e ogni cittadino aveva un suo racconto, una testimonianza. Ce n’erano di quelli senza tregua, che scacciavano i vivi dalle stanze, ce n’erano di benigni che aiutavano, facevano trovare oggetti smarriti, anche soldi, e suggerivano i numeri da giocare al lotto. C’erano i dispettosi che facevano scherzi, buttavano a gambe all’aria.
E poi c’era un’umanità compressa e bisognosa che cercava soccorso dappertutto, avvertiva presenze, ne cercava il contatto. Quando è finita l’oppressione della miseria, i fantasmi si sono diradati. Non più cercati, sono scomparsi. Non ne ho fatto esperienza, però sono disposto ad ammettere un fondamento alle storie dei fantasmi. E poi perché degli alpinisti, gente concreta che va per le spicce, dovevano inventarsi e ripetere storie di incontri con gli spettri di alta quota?
Lo scarso ossigeno è insufficiente a spiegare una suggestione insistente.
Eduardo De Filippo ha scritto una commedia sfruttando le storie napoletane di palazzi infestati da presenze. Questi fantasmi è opera di chi è persuaso che non esistono e scherza sul lato comico, sfotte la paura ingenua di chi invece li scorge e se li trova intorno.
Questi fantasmi, mentre li evoca, li cancella. De Filippo era un positivista.
Nelle mie scritture sono debitore di voci, le ascolto in una parte interna dell’orecchio, negli ossicini del labirinto, dove pure ritrovo le persone assenti. In un posto del mio orecchio si incontrano i membri di un’assemblea del passato, i lontani. Non so decidere, neanche voglio, se vengono per surriscaldamento dell’immaginazione oppure sono visite vere. La mia pagina le accoglie senza chiedere documenti.
Nella scrittura sacra invece l’urto dell’invisibile è frequente ed esplicito: “E disse Dio” lascia poco all’immaginazione. In tutte quelle pagine l’ascolto non coinvolge soltanto l’organo dell’udito. L’ascolto, quando è intenso, è visionario: “Vedono le voci”, così è scritto del popolo d’Israele ammucchiato alle pendici del Sinai/Hòrev mentre Mosè riceve il paio di tavole. Vedono le voci, mica solo le sentono. Stanno zitti e, mentre si sta svolgendo la più potente trasmissione del monoteismo, riescono a vederle, voci scritte. Un maestro dell’antico Israele, rabbi Akivà, conferma questa possibilità visionaria, citando il salmo che dice: “La voce di Iod/Dio incide fiamme di fuoco” (29,7). La voce sul Horev usciva scrivendo rosso su cielo le parole.
Da lettore di quelle pagine, da redattore delle mie, non faccio il difficile con gli invisibili. Credo che ognuno abbia i suoi e ci sono momenti in cui dilagano nei sensi, per me nell’orecchio.
N: Non mi è venuto intorno nessun fantasma in alta quota. Proprio non poteva. La presenza di Romano è così concreta, i miei pensieri mentre scalo sanno sempre dov’è, che sta facendo, pure a cosa sta pensando. Non c’è un briciolo di spazio per un fantasma tra noi. Non ci sono assenti lassù, siamo noi due, appaiati e maledettamente presenti. I fantasmi preferiscono tenere compagnia ad alpinisti solitari.


Erri De Luca, Sulla traccia di Nives, Mondadori, pp. 48-50

Da qualche tempo mi ero ripromesso di scrivere qualcosina, come nel tempo boliviano, ma finora non era mai giunto questo momento. Oggi è arrivato.
Un libretto amico che mi accompagna nella stanza, in particolare il dialogo tra Erri De Luca e Nives Meroi mi ha rubato l’attenzione.
Tutti stiamo vivendo una vita che si scosta dalla solita routine che il quotidiano ci mette davanti. Questo intervallo casalingo posto in un tempo prezioso come la Quaresima ci obbliga a delle riflessioni che saltano come funambole su una corda tesa tra terra e cielo.
La preoccupazione su “quello che sarà” abita il nostro cuore e le nostre giornate, modificate anch’esse sia in ritmi che in orari da un “qualcosa di ignoto”. 
La prima impressione è stata proprio questa: paura dello sconosciuto (anche se dare i nomi aiuta nella comprensione).
Siamo costantemente connessi al mondo, qualsiasi ultima notizia dobbiamo saperla (e magari esseri tra i primi a diffonderla), e sapere che un invisibile nemico della vita sta entrando silenzioso nelle nostre case, ci abbatte. Siamo fatti così (non è solo il titolo di un vecchio cartone animato sul corpo umano che passavano in televisione), acca 24 dobbiamo con insistenza controllare tutto e tutti. Quello che non è contemplato nel mondo della conoscenza, fa paura!
La Quaresima del duemila venti ricca di proposte e iniziative preparatorie alla Pasqua sta passando quasi in sordina. Ci s’inventa con collegamenti in streaming, televisione e radio, però la testa corre lontano a quello che sarà quando “sarà passato tutto”.
Sicuramente arriverà anche il tempo del “passato tutto”, ma noi come usciremo da questo sconvolgente incontro? È sempre così, le cose si capiscono meglio quando ti toccano sul personale, mentre quando le senti, le vedi o le leggi “da lontano”, non le fai tue. 
È assolutamente vero che siamo protesi sempre al futuro, ma cosa ci lascia e lascerà questo incontro con il dolore, la malattia e purtroppo anche con la morte di tante persone?
Non dovremmo tutti riflettere sul dono e il senso della vita? Ma soprattutto sui nostri stili di vita? Su cosa conta e sul superfluo? Su ciò che vale o su ciò che può passare anche in secondo piano o addirittura non esserci?
Siamo ricchi di fantasie comunicative, dove la tecnologia ci è veramente vicina (ma alle volte quasi orticante), ma rischiamo di perdere il vero senso della vicinanza, della prossimità, dell’amicizia dell’affetto … 
Quelle “voci scritte” della traduzione letterale dal testo sacro di Erri, ci riportano alla condizione originaria della nostra vita: l’incontro! 
Nuovi hashtag nascono come funghi e anestetizzano incomprensibilmente i fantasmi! Ben vengano questi aggregatori tematici, ma ancor di più sarebbe auspicabile mettere in pratica quello che dicono subito dopo il cancelletto.

Il pensiero di queste settimane va a queste tre nuove comunità di Fuipiano, Corna e Locatello, la grande famiglia di Nembro toccata terribilmente dalla malattia e ancor di più, alle amiche e amici che dalla terra di Bolivia iniziano ad avere i primi contagi, ma soprattutto il ricordo delle tante persone incontrate in passato, ma ancora molto presenti e non citate.
Cambiare il nostro passato è impossibile, ma un pensiero migliore al nostro presente possiamo permettercelo.

Un ricordo che si fa preghiera tutte le mattine nella Messa, 
con un abbraccio “a distanza di sicurezza”
dal tetto della Valle Imagna!

lukino 

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