Nasce in un tempo particolare un "diario in rete".

Tinkunakama, parola in lingua quechua che potrebbe avvicinarsi alle traduzioni: fino a quando ritorneremo ad incontrarci, oppure ancora: fino alla prossima volta.

Un saluto che non pone fine alla relazione, ad un incontro avvenuto, ma spalanca la speranza futura.

Ci rivedremo, per il momento ti porto nel cuore!

martedì 31 marzo 2020

MARTEDI DELLA QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMA


Signore, ascolta la mia preghiera,
a te giunga il mio grido di aiuto.
Non nascondermi il tuo volto
nel giorno in cui sono nell'angoscia.
Tendi verso di me l'orecchio,
quando t'invoco, presto, rispondimi! 


Le genti temeranno il nome del Signore
e tutti i re della terra la tua gloria,
quando il Signore avrà ricostruito Sion
e sarà apparso in tutto il suo splendore.
Egli si volge alla preghiera dei derelitti,
non disprezza la loro preghiera. 


Questo si scriva per la generazione futura
e un popolo, da lui creato, darà lode al Signore:
«Il Signore si è affacciato dall'alto del suo santuario,
dal cielo ha guardato la terra,
per ascoltare il sospiro del prigioniero,
per liberare i condannati a morte».

 

lunedì 30 marzo 2020

LUNEDI DELLA QUINTA SETTIMANA DI QUARESIMA

Due figure femminili sono le protagoniste delle letture di oggi: Susanna figlia di Chelkia e moglie di Ioakim nella lettura del profeta Daniele, e una donna senza nome narrata nel vangelo.
Tutte e due, sia Susanna che la donna del vangelo, vengono additate e giudicate da cuori induriti.
La sapienza di Daniele, smaschera il falso nei riguardi dei due anziani presi da passione verso di lei, e pronti dichiarare il falso per salvarsi la pelle.
La misericordia di Gesù, ancora una volta spiazza coloro che si erano riuniti per giudicare.

Siamo tutti facili di giudizi, alle volte ce li aspettiamo anche, peggio ancora quando il nostro cuore si colora di pre-giudizi, ancor più pericolosi e distanziatori di relazione.
Daniele illuminato di Dio, smaschera le perversioni dei due anziani, Gesù "sembra quasi" non dar peso alla folla riunita attorno a Lui e alla donna.

«Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».
Gesù smuove il cuore e la mente dei presenti con una frase lapidaria che porta alla personale vita di ciascuno.
Chi sono io per giudicare mia sorella o mio fratello? Potrebbe essere questa la domanda per la riflessione di questo giorno, inizio di settimana ...
Chiediamo ancora una volta il dono della MISERICORDIA, per noi e per chi condivide con noi questo pezzo di storia, questo tratto di VITA.

domenica 29 marzo 2020

QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

«Lazzaro, il nostro amico, 
s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo».

Cos'è l'amicizia? Ognuno di noi ne sperimenta qualcosa ogni giorno, in particolare in questo tempo prezioso. 
Probabilmente facciamo fatica a vivere la preziosità di questi giorni, "chiusi nelle nostre case" (o almeno così dovrebbe essere).
Gesù ritorna a Betania che letteralmente vuol dire "casa dell'amicizia", perché la voce corre veloce e viene a sapere del riposo dell'amico Lazzaro.
Cambia strada, vuole tornare nuovamente in Giudea, contro il parere dei suoi, rischiando di mettere in pericolo la vita.
Andare da Lazzaro è farsi vicino all'umanità ancor oggi incredula! Nella casa dell'amicizia non solo "sveglierà dal sonno" Lazzaro, ma renderà testimonianza dell'amore del Padre a molti cuori increduli.
L'incontro con le due sorelle in lutto, sarà la manifestazione della vita sulla morte.


Marta disse a Gesù: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Gesù le disse: «Tuo fratello risorgerà». Gli rispose Marta: «So che risorgerà nella risurrezione dell'ultimo giorno». Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».

Il Vangelo che ci accompagna questa domenica sembra scritto oggi! Troppo spesso, e terribilmente in questi giorni, ognuno di noi sta soffrendo per la perdita di un parente, di un conoscente, di un amico.
Il dialogo tra Marta e Gesù lascia trasparire ancora una volta la misericordia e la prossimità del Padre.
Marta, nella sua dolce amicizia, sembra rimproverare al Signore la sua distanza nel momento del bisogno: se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto! Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà.Allo stesso tempo però confida in Lui, ripesca dal fondo del suo cuore sentimenti passati e certezze future. 
Un po' come sta scucendo a noi al tempo del Covid-19! Stiamo rispolverando la nostra fede, coperta da troppi anni di polvere e ragnatele, e non come ora, l'unica consolazione la troviamo nella Fede e nelle parole della Fede.
La figura evangelica di Marta c'insegna molte cose in questi pochi versetti del Vangelo. 
L'insegnamento ci viene anche dalle nostra quotidianità: non basta pulire la casa una volta all'anno e pretendere che resti pulita per sempre, così come la Fede, non basta riallacciarsi con forza in un momento di particolare crisi, ma ogni giorno tentare di donare del tempo al Signore: si chiama PERSEVERANZA.
Marta si fida di Gesù, crede in Lui, lo conosce da tempo, e mette le sue preghiere per il fratello Lazzaro nelle mani dell'amico Gesù. 

«Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!».

Sono le parole nate dal cuore di Maria che scardinano, ma allo stesso tempo ci avvicinano molto di più ai giorni nostri.
Forse che Dio si è allontanato dalla nostra vita? Si è forse dimenticato di noi?
Un rimprovero inutile nei confronti del Signore. La commozione, le lacrime sul volto di Gesù, però rispondono a tutte le nostre domande e dubbi di fede! Gesù non ha mai abbandonato nessuna vita, e mai lascerà nell'angoscia e nella tribolazione l'umanità.
Ogni giorno veniamo bombardati su qualsiasi fronte e mezzo di comunicazione da notizie, dove la maggior parte di esse sono solamente triste cronaca uscita da ospedali.
Per scappare da questa situazione pensiamo a quando tutto sarà passato, ci sporgiamo in avanti, al balcone della nostra vita, allunghiamo lo sguardo sull'orizzonte che sembra allontanarsi sempre più ... Maria c'insegna però la certezza delle PRESENZA! Maria che non chiede a Gesù di "far qualcosa" per Lazzaro, chiede solo la presenza dell'amico Gesù.
La riflessione su due verbi, cresce prepotente oggi, particolarmente sui verbi STARE e FARE.
Interessati come siamo all'ultima notizia, perdiamo d'occhio l'importanza del vivere la notizia. Abituati a FARE, sbrigare, lavorare ecc. ecc., distogliamo il pensiero sullo STARE.
Gesù suggerisce l'importanza dello "stare" in una situazione, perché solamente così si possono pensare e poi agire con azioni concrete, che tradotto vuol dire "fare qualcosa".
Abbandoniamo le notizie discordanti di tanti social media che sommergono la nostra quotidianità, rispolveriamo la fede semplice che tutti conosciamo, senza lo sfrenato bisogno di ricercare le moltissime proposte che il mondo fuori dalle nostre case ci propone.
Non come oggi dovremmo ammettere la nostra poca fede, una fede costruita sulla nostra persona, una fede del "se mi va'", del "se me la sento", ma spalancare il cuore al Signore, mettere ogni giornata che inizia nelle sue mani ... ma soprattutto "lasciar fare un po' a Lui", senza l'opprimente bisogno di sostituirci anche a Lui!


«Lazzaro, vieni fuori!»

Sicuramente Gesù avrebbe potuto subito andare al sepolcro di Lazzaro ed esclamare: "Lazzaro, vieni fuori!", ma non l'ha fatto. Prima di compiere questo gesto ha voluto incontrare le due sorelle, e con loro, tutte le persone che erano presenti per sostenere il lutto della famiglia. Era necessario regalare fiducia a cuori tristi per poter ripartire con la VITA.

Un Vangelo, quello di questa domenica di quaresima che purifica il nostro cuore e allo stesso tempo regala il dono della CONVERSIONE.
Signore aumenta la mia fede, aumenta la fede dei miei fratelli!

sabato 28 marzo 2020

SABATO DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA

Signore, mio Dio, in te ho trovato rifugio:
salvami da chi mi perseguita e liberami,
perché non mi sbrani come un leone,
dilaniandomi senza che alcuno mi liberi.

Giudicami, Signore, secondo la mia giustizia,
secondo l'innocenza che è in me.
Cessi la cattiveria dei malvagi.
Rendi saldo il giusto,
tu che scruti mente e cuore, o Dio giusto.

Il mio scudo è in Dio:
egli salva i retti di cuore.
Dio è giudice giusto,
Dio si sdegna ogni giorno.


Nicodemo nel suo timido coraggio, trova la forza di prendere la parola. Una parola spaventata, una parola notturna come il suo incontro nascosto con Gesù. Si fa carico di una gioia passata, trasportandola nel presente.
Ci sentiamo in questi giorni dei "Nicodemo", ma non nella prima parte della sua vita, ma soprattutto nella sua rappresentazione che il vangelo oggi ci regala.
Ci stiamo chiudendo in difesa contro un nemico invisibile che  stringe i panni addosso e tocca le vite di tante persone.
Nicodemo però ci insegna che la paura o le paure vanno affrontate e la vittoria su di esse è già nella nostra vita.
Il giovane Nicodemo parla ad una folla che non ha sperimentato l'incontro con Gesù, ma che solo ripete per "sentito dire". Lui, invece, il timido ragazzo che andò da Gesù di notte per paura di essere visto dalla gente, utilizza parole che abitano il suo cuore.
Nessuno conosce quello che sarà il "dopo-virus", ma tutti siamo già proiettati al domani futuro, dimenticandoci che solamente nell'oggi possiamo sperimentarci nella Parola e nell'incontro, protesi alla GIOIA che salva.

venerdì 27 marzo 2020

VENERDI DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA

Il Signore è vicino 
a chi ha il cuore spezzato.

Il ritornello del Salmo ci consola con parole di dolcezza e ancor di più, di saggezza.
La vicinanza che diventa sempre più prossimità verso coloro che si affidano alla Sua Parola.

La Sapienza della prima lettura coinvolge nella chiara distinzione tra "persone empie" e "persone giuste". L'empietà e la giustizia che caratterizzano la totalità della persona. Desiderosi di giustizia, spesse volte però tendiamo e cadiamo nell'errore, nello sbaglio. Costruiamo addirittura "castelli di sabbia" sulla nostra certezza sbagliata. Ribaltiamo addirittura i valori, capovolgiamo lo scorrere della vita, smarrendo il senso e significato.

Dove stiamo andando? Cosa stiamo cercando? Chi stiamo cercando?
Ritornello di domande, enciclopedie di risposte!

giovedì 26 marzo 2020

GIOVEDI DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA

Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?

Il vangelo odierno si conclude con una preziosa domanda che lascia a bocca aperta e spiazza ogni credente.
Troppo spesso ci sentiamo "credenti arrivati". Credenti che già sanno, conoscono tutto su Gesù, perché la frase ricorrente è la stessa: son sempre le stesse cose!
Il tema della testimonianza, o del rendere testimonianza, invece lo abbandoniamo volentieri. Verissimo che sono "cose" che portano il peso degli anni, ma ancor di più ora, quelle parole non le abbiamo neppure spolverate.
Poter credere è un dono che viene dall'alto, a noi solamente il gioioso presente del testimoniare.

mercoledì 25 marzo 2020

ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

Il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele, perché Dio è con noi.

Un segno, il segno per eccellenza: un bambino, un dono NUOVO, la vita che continua.
L'annuncio della nascita è sconvolgente, immette nel vecchio mondo un germoglio, una speranza, una brezza leggera, un soffio d'aria nuova.


Gabriele, l'annunciatore per eccellenza della voce di Dio entra nella vita di una giovane figlia d'Israele, bussa alla sua e nostra quotidianità annunciando la NOVITA! Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.
Che gioia trovare grazia presso Dio, sentirsi persone amate da Dio.
In questi giorni preziosi e allo stesso tempo carichi di nuove fatiche, sentiamoci amati.
La nostra vita non cerchi solamente negli ultimi ritrovati multimediali le soluzioni per la nostra fede, ma apriamo il cuore all'incontro con la Parola che Salva.

martedì 24 marzo 2020

SAN ROMERO D'AMERICA

24 marzo 1980-24 marzo 2020 
Sono passati 40 anni dal martirio del vescovo Oscar Romero







Noi t’invochiamo,

vescovo dei poveri,
intrepido assertore della giustizia,
Martire della pace!
Ottienici dal Signore il dono
di mettere la sua Parola al primo posto.
Aiutaci a intuirne la radicalità
e a sostenerne la potenza,
anche quando essa ci trascende.
Liberaci dalla tentazione di decurtarla
per paura dei potenti,
di addomesticarla
per riguardo di chi comanda,
di svilirla per timore che ci coinvolga.
Non permettere che, sulle nostre labbra,
la Parola di Dio s’inquini
con i detriti delle ideologie.
Ma dacci una mano,
perché possiamo coraggiosamente incarnarla
nella cronaca, nella piccola cronaca
personale e comunitaria,
e produca così storia di salvezza.
Aiutaci a comprendere
che i poveri sono il luogo teologico
dove Dio si manifesta,
il roveto ardente e inconsumabile
da cui Egli ci parla.
Prega, Vescovo Romero,
perché la Chiesa di Cristo,
per amore loro, non taccia!

don Tonino Bello






In memoria del vescovo Romero



In nome di Dio vi prego, vi scongiuro,
vi ordino: non uccidete!
Soldati, gettate le armi…
Chi ti ricorda ancora, fratello Romero?
Ucciso infinite volte
dal loro piombo e dal nostro silenzio.
Ucciso per tutti gli uccisi;
neppure uomo,
sacerdozio che tutte le vittime
riassumi e consacri.
Ucciso perché fatto popolo:
ucciso perché facevi
cascare le braccia
ai poveri armati,
più poveri degli stessi uccisi:
per questo ancora e sempre ucciso.
Romero, tu sarai sempre ucciso,
e mai ci sarà un Etiope
che supplichi qualcuno
ad avere pietà.
Non ci sarà un potente, mai,
che abbia pietà
di queste turbe, Signore?
nessuno che non venga ucciso?
Sarà sempre così, Signore?

David Maria Turoldo



MARTEDI DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA

Acqua! Acqua che da vita! Acqua nuova! Acqua, sorgente di Salvezza.
L' acqua, dono prezioso dell'umanità, lega e collega le letture della liturgia quotidiana.

«Queste acque scorrono verso la regione orientale, scendono nell'Aràba ed entrano nel mare: sfociate nel mare, ne risanano le acque. Ogni essere vivente che si muove dovunque arriva il torrente, vivrà: il pesce vi sarà abbondantissimo, perché dove giungono quelle acque, risanano, e là dove giungerà il torrente tutto rivivrà. Lungo il torrente, su una riva e sull'altra, crescerà ogni sorta di alberi da frutto, le cui foglie non appassiranno: i loro frutti non cesseranno e ogni mese matureranno, perché le loro acque sgorgano dal santuario. I loro frutti serviranno come cibo e le foglie come medicina».

Una piscina come ricovero per un gran numero di infermi, zoppi, ciechi e paralitici. L'essere immersi donava ristoro e guarigione. 
Una voce amica che chiede il desiderio più grande che porta nel cuore un malato: GUARIRE.
Il miracolo al paralitico, non è un premio di Gesù al malato di serie A nei riguardi del malato di serie B, anche perché tutti siamo uguali agli occhi di Dio, ma un gesto d'amore verso l'umanità sofferente ed emarginata.
Ma spesso, anche ai giorni nostri capita ancora,  quando si "pensa" di far qualcosa di buono, si rischia di essere visti e letti in maniera negativa soffermandosi sulle regole, o addirittura sulla legge del Sabato. Gesù oltrepassa leggi e regole umane, dona VITA NUOVA.
In questo tempo di prova, apriamo i nostri cuori all'incontro con la SALVEZZA, lasciando alle nostre spalle il passato, gli smacchi, i giudizi e pregiudizi, per gioire solamente del dono della vita.

lunedì 23 marzo 2020

LUNEDI DELLA QUARTA SETTIMANA DI QUARESIMA

Ecco, io creo nuovi cieli e nuova terra;
non si ricorderà più il passato,
non verrà più in mente,
poiché si godrà e si gioirà sempre
di quello che sto per creare,
poiché creo Gerusalemme per la gioia,
e il suo popolo per il gaudio.

Le parole del profeta Isaia ci regalano speranza e gioia all'inizio di questa settimana che si apre. Cieli nuovi e terra nuova! Il passato è dietro le nostre spalle, ora si apre un futuro NUOVO, capace di riordinare il cuore e la vita.
Stiamo vivendo una quaresima "strana", che ci distoglie dai ritmi quaresimali ai quali ci eravamo preparati e probabilmente abituati. Una quaresima che segna e marca ognuno di noi con notizie tristi, il più delle volte addirittura tragiche.
L'incontro di Gesù narrato nel vangelo col funzionario del re, spalanca i nostri orizzonti: «Va', tuo figlio vive».
La fede di quest'uomo posta nelle mani del Signore. La fiducia carica di significato per la VITA del figlio. 
Credere nel Signore morto e risorto è mettere ogni situazione, ogni incontro, ogni persona, ogni fatica, ogni gioia, nelle sue mani. E' gridare a gran voce: Signore sono nelle tue mani!

domenica 22 marzo 2020

QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA





Le parole del Papa

Il cieco nato e guarito ci rappresenta quando non ci accorgiamo che Gesù è la luce, è «la luce del mondo», quando guardiamo altrove, quando preferiamo affidarci a piccole luci, quando brancoliamo nel buio. E comportarsi come figli della luce esige un cambiamento, un cambiamento di mentalità, una capacità di giudicare uomini e cose secondo un’altra scala di valori, che viene da Dio. Che cosa significa avere la vera luce, camminare nella luce? Significa innanzitutto abbandonare le luci false: la luce fredda e fatua del pregiudizio contro gli altri, perché il pregiudizio distorce la realtà e ci carica di avversione contro coloro che giudichiamo senza misericordia e condanniamo senza appello. (ANGELUS, 26 marzo 2017)


Riflessione

La quarta domenica di quaresima è caratterizzata dal tema della GIOIA, che emerge nelle letture quotidiane.
Ci viene difficile scovare "un po' di gioia" in questi giorni faticosi e difficili ... le notizie che entrano nella nostre giornate non regalano "nulla di buono". Ci si sforza di creare sane distrazioni per non soffermarsi troppo su quello che sta capitando al mondo, all'Italia, alla nostra cara Bergamo, e purtroppo anche nelle nostre singole famiglie.
Come fare per fronteggiare "tutto quello che stiamo vivendo?". 
I numeri sconfortanti che ascoltiamo, leggiamo e vediamo fanno nascere in noi sentimenti mai provati prima. Sono emozioni nuove, perché la vita ogni giorno è sempre novità.
«Non guardare al suo aspetto né alla sua alta statura. Io l'ho scartato, perché non conta quel che vede l'uomo: infatti l'uomo vede l'apparenza, ma il Signore vede il cuore». Sono le parole che il Signore rivolge a Samuele.
Dio suggerisce di cambiare il nostro modo di guardare le cose, ma soprattutto di guardare le persone, perché non conta quel che vede l'uomo che è solo apparenza, ma scavare nel cuore delle persone.
Dio sa aspettare Davide che stava pascolando il gregge, molto probabilmente nemmeno contemplato dal resto della sua famiglia,  e sceglie un giovane capace di aprire il suo cuore all'incontro con Lui.
Quanto pesa nella nostra vita l'APPARIRE? Solamente demolisce e distrugge, non porta novità, ma lascia il tempo che trova.


Il salmo 22, conosciuto come il salmo del buon pastore è un atto di affidamento a Dio, un salto nelle braccia del Padre, una corsa fiduciosa ad occhi chiusi, perché guidati dalla presenza e dalla Sua voce.

Quella luce di cui parla San Paolo scrivendo agli amici di Efeso è la stessa LUCE del vangelo: imparare a guardare, indirizzare i nostri sguardi verso di Lui.
Il giovane nato cieco, cioè senza possibilità di scorgere luce e luci, è l'esempio dell'amore che Dio ha verso ciascuno dei suoi figli. Dio non si dimentica di nessuno!
Facile sarebbe tradurre nella nostra vita la stessa domanda posta a Gesù:«Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?».
Ritorna prepotente l'APPARIRE incontrato nella prima lettura. Perché dobbiamo sempre vivere di giudizi o addirittura pre-giudizi? Forse noi che tentiamo di credere e ci chiamiamo credenti, non necessitiamo continuamente la CONVERSIONE del cuore? Ci sentiamo già "arrivati"?. Se fosse davvero così, abbiamo sbagliato tutto della nostra vita.
Quanta strada ancora ci distanzia dal Padre misericordioso!
Gesù risponde alla domanda, la supera, la lascia alle sue spalle, perché non è fondamentale sapere il "perché", ma è essenziale ritornare a vedere e vivere della LUCE.
Ma siamo molto duri di cuore, e poco distanti dai tempi del vangelo, infatti, non contenti i contemporanei di Gesù chiedono direttamente al ragazzo il motivo della sua guarigione, e perfino ai suoi genitori!
Cosa vale nella nostra vita? Cosa veramente conta? Che una persona sia guarita, o da dove è nata la malattia?
In questi giorni, molte domande ci riempiono la testa e il cuore, a cui non possiamo non rispondere. Piccolo problema è che le risposte le cerchiamo in "luoghi" che spesse volte confondono e creano solamente paure e timori.
Virale non è solo il Covid-19, ma anche l'abuso dei tanti strumenti di comunicazione. 
Forse che conoscendo l'ultima news dell'ultimo Tg ci aiuta a SCORGERE LA LUCE?
Chiediamo al Signore di purificare le nostre cataratte, non solo quelle degli occhi, ma quelle del cuore per sperare ogni momento nella NOVITA.

sabato 21 marzo 2020

SABATO DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

Le letture che ci accompagnano oggi sottolineano con insistenza tre termini: amore, sacrificio e giustizia divina. Parole che nella nostra vita quotidiana assumono sfaccettature differenti. 
Cos'è l'amore? Cos'è il sacrificio? Cos'è la giustizia divina? Ognuno di noi, fermandosi un momento potrebbe incontrare le definizioni e metterle nella propria vita.

La parabola del Vangelo però, riassume molti aspetti che spesso dimentichiamo. Uno tra tutti è quello dell'uguaglianza, o sarebbe meglio dire, la non distinzione tra IO e l'ALTRO. La comunione deve assolutamente passare e scorrere nelle nostre vene, la solidarietà trasformarsi sempre più in fratellanza.

venerdì 20 marzo 2020

VENERDI DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

Il dialogo tra Gesù e lo scriba che incontriamo nel vangelo ci strappa quasi un sorriso. Il primo pensiero è questo: come ti permetti caro scriba di porre una domanda così sottile a Gesù? Non sai chi è Gesù?
La riposta anche banale, sembrerebbe essere questa: no, non lo conosco ancora.
Chissà se nella domanda: Qual è il primo di tutti i comandamenti? c'era sottinteso e nascosto un desiderio d'incontro con Lui. Magari questo scriba aveva solo sentito parlare di Gesù, aveva ascoltato testimonianze su di Lui, aveva visto da lontano la sua figura ... ma non lo aveva mai incontrato faccia a faccia e soprattutto nel suo cuore e nella sua vita.
Gesù non si sottrae all'incontro con le persone, non scappa perfino ad una domanda, ad una questione che tormenta la vita dello scriba, e non solo risponde all'interrogativo posto, ma aggiunge un nuovo comandamento: Il secondo è questo: "Amerai il tuo prossimo come te stesso". Non c'è altro comandamento più grande di questi. 
Vero che il primo di tutti i comandamenti è quello dell'ascolto, ma non può restare solo! Non esiste il primo se non a braccetto col secondo!

giovedì 19 marzo 2020

SAN GIUSEPPE

Giuseppe è quell'uomo, quella creatura di Dio che mantiene un rapporto riconosciuto attraverso i tempi con i suoi antenati.
Giuseppe uomo giusto, come ascoltiamo oggi nelle parole dell'evangelista Matteo, si domanda, s'interroga, si prende cura e porta nel cuore la sua sposa Maria.
Una discendenza che si allunga nei tempi, un'occupazione e preoccupazione che si dilata nella storia della Salvezza.
Giuseppe è anche uno dei tanti sognatori della Storia Sacra. Giuseppe sogna quello che di più prezioso porta nel cuore: Maria. Con lei pensa ad un futuro, con lei costruire legami, con lei prepara una famiglia.
Giuseppe si lascia interrogare dalla voce di Dio, Giuseppe accetta il disegno che il Padre ha su di lui!
In questa solennità di San Giuseppe, dove preziosamente vogliamo ricordare tutti i papà del mondo, affidiamoci a questa giusta, santa e bella figura di padre, perché per sua intercessione, possiamo ancora una volta scoprire il valore e la dolcezza di essere figli.

mercoledì 18 marzo 2020

MESSAGGIO DEL VESCOVO FRANCESCO

MESSAGGIO DEL VESCOVO FRANCESCO 


- Questa mattina [mercoledì 18 marzo] mi ha chiamato al telefono Papa Francesco. Il Santo Padre è stato molto affettuoso manifestando la sua paterna vicinanza, a me, ai sacerdoti, ai malati, a coloro che li curano e a tutta la nostra Comunità. Ha voluto chiedere dettagli sulla situazione che Bergamo sta vivendo, sulla quale era molto informato. È rimasto molto colpito dalla sofferenza per i moltissimi defunti e per il distacco che le famiglie sono costrette a vivere in modo così doloroso. Mi ha pregato di portare a tutti e a ciascuno la sua benedizione confortatrice e portatrice di grazia, di luce e di forza. In modo particolare mi ha chiesto di far giungere la sua vicinanza ai malati e a tutti coloro che in diverso modo stanno prodigandosi in modo eroico per il bene degli altri: medici, infermieri, autorità civile e sanitarie, forze dell’ordine. Un sentimento di profondo compiacimento lo ha espresso verso i nostri sacerdoti, colpito dal numero dei morti e dei ricoverati, ma anche impressionato in positivo dalla fantasia pastorale con cui è stata inventata ogni forma possibile di vicinanza alle famiglie, agli anziani e ai bambini, segno della vicinanza stessa di Dio. Papa Francesco ha promesso che ci porta nel suo cuore e nelle sue preghiere quotidiane. Questo suo gesto così delicato di premura e la sua benedizione di padre è stata una eco, una continuazione, una realizzazione concreta per me e sono convinto per l’intera diocesi e per ciascuno di quella carezza del nostro santo Giovanni XXIII che ieri abbiamo invocato nella supplica e che la natura con i primi germogli di primavera ci sta riconsegnando.

MERCOLEDI DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

Le letture che la Parola di Dio oggi ci regala parlano di leggi, di norme, di precetti ... insomma un qualcosa che ci viene donato per essere messo in pratica.
Sottostare e prendere sul serio, cioè, vivere quello che ci viene proposto non è semplice, e il più  della volte ci viene anche complicato.

La prima lettura però si conclude così: Ma bada a te e guàrdati bene dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno visto, non ti sfuggano dal cuore per tutto il tempo della tua vita: le insegnerai anche ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli. 
Badare e guardare! Due verbi che insistentemente richiedono attenzione, richiedono cura, e in particolare rimandano a un futuro che verrà. Trasmettere quello che i nostri occhi hanno visto, le orecchie hanno ascoltato e il nostro cuore ha vissuto.

Tutto questo per vivere di quell'amore pieno e duraturo che viene da Colui che non ha abolito il passato, ma ha spalancato il futuro!

martedì 17 marzo 2020

MARTEDI DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

La stupenda preghiera di Azaria tra le fiamme del fuoco, sembra risuonare forte come non mai in questi nuovi giorni di vita. Una vita provata dalle fatiche ordinarie del quotidiano e ora anche da un nemico invisibile che miete vittime a una velocità impossibile.
La fiducia che cresce in Azaria, cresce anche nel nostro cuore ogni giorno sempre più.
Affidiamoci al Dio della vita, non come se fosse l'ultima medicina contro il non poter far nulla, ma come coraggiosa speranza che sempre ci consola con la tenerezza di figli amati dal Padre.



I "servi" del vangelo di oggi ci richiamano l'attenzione e soprattutto l'attenzione alla cura del prossimo. Un discorso praticamente costruito dalle parole dei "vari servi". Non a caso, Gesù è colui che serve ...
Una vicinanza che diventa sempre più prossimità verso coloro che soffrono e sono nel bisogno.
Una metamorfosi vitale che ci conduce sul cammino della conversione, ma in particolare del perdono reciproco. 

lunedì 16 marzo 2020

LUNEDI DELLA TERZA SETTIMANA DI QUARESIMA

Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: "Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra". Forse l'Abanà e il Parpar, fiumi di Damàsco, non sono migliori di tutte le acque d'Israele? Non potrei bagnarmi in quelli per purificarmi?». Si voltò e se ne partì adirato.
Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: «Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: "Bàgnati e sarai purificato"». Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell'uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato.
Tornò con tutto il seguito dall'uomo di Dio; entrò e stette davanti a lui dicendo: «Ecco, ora so che non c'è Dio su tutta la terra se non in Israele».


Quante volte Signore la nostra volontà, o addirittura le nostre volontà umane non pensano alla tua volontà divina? L'esempio di Naaman il siro, oggi come non mai, in questo tempo di emergenza sanitaria mondiale ci viene in soccorso. Soprattutto l'invito dei servi di Naaman ci regalano uno sguardo nuovo, differente: Dio vuole solamente il nostro bene e non abbandona nessuno dei suoi figli amati. I servi del siro Naaman aiutano nella riflessione: se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l'avresti forse eseguita? Cosa ci aspettiamo dal Padre? Forse che i suoi modi e tempi non sono efficaci per la nostra vita? Dio agisce sempre nella nostra vita, partendo dai dettagli, dalle cose nascoste, dai particolari nascosti che Lui vede e risana.



Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

Gesù che passa nelle nostre vite, si ferma, ci dona il suo messaggio d'amore ... a noi la libera decisione di aderire, oppure di lasciarlo andare per la sua strada, perché le sue parole sono troppo difficili e dure per il nostro piccolo cuore.

domenica 15 marzo 2020

Il grazie del card. Bassetti a tutti i sacerdoti diocesani e religiosi

Carissimi,
in questi giorni difficili ci sentiamo tutti impegnati ad esprimere vicinanza agli ammalati e a quanti con grande generosità se ne prendono cura, alle famiglie che si trovano nel disagio e a coloro che in vario modo cercano di offrire un aiuto. Trovo doveroso però rivolgere un pensiero particolare a voi, sacerdoti, per la bella testimonianza che state offrendo ai fedeli delle nostre parrocchie e a tutte le persone che guardano alla Chiesa. State davvero esprimendo il volto bello della Chiesa amica, che si prende cura del prossimo.
State donando un esempio autentico di solidarietà con tutti, restando in casa e rinunciando con grande sacrificio a tante iniziative che scandiscono la nostra vita e caratterizzano il nostro ministero. È un atto di carità e rispetto verso il prossimo nella ricerca sincera di tutelare la salute pubblica e la vita delle persone più deboli. Al tempo stesso, siete pronti e sempre disponibili, quando è necessario – osservando le disposizioni sanitarie -, ad uscire per il conforto dei malati più gravi o per benedire privatamente i defunti. Dio ve ne renda merito.
So bene quanto possa essere doloroso celebrare l’Eucarestia senza il popolo, ma voi ogni giorno mettete idealmente sull’altare le sofferenze e le speranze di tutti. Nessuno rimane escluso dalla vostra preghiera di intercessione. In certo modo, non avendo davanti agli occhi le persone di ogni giorno e di ogni domenica, avete allargato ancora di più il vostro cuore per sentirvi pienamente in comunione con tutti.
Il fermarvi a meditare più a lungo la Parola di Dio vi stimola ad aiutare tutti i fedeli a scoprire meglio, nel Vangelo, la presenza reale del Signore che ci parla, come seduto sulla sedia accanto, dialogando con noi della nostra vita e del ministero che Egli ci ha affidato. State facendo come Mosè che parlava con Dio come con un amico (cfr. Es 33,11) e state aiutando tante persone a scegliere la parte migliore come Maria (cfr. Lc 10,39.42). Mentre il telefono squilla di continuo, rispondete a tutti con pazienza e cercate un contatto virtuale, ma profondamente reale, con chi aspetta da voi una parola di vicinanza. Annunciate il Vangelo in modo diverso, ma forse proprio per questo con intensità ancora più grande. L’amore di Cristo vi spinge a navigare sui social e a trovare nuove forme per dire che il Signore è vicino, per incoraggiare tutti a pregare in famiglia.
Un pensiero particolare a quelli di voi che, insieme a tanti volontari, sostengono l’impegno dell’accoglienza e dell’assistenza del prossimo nelle case famiglia e nei centri d’ascolto della Caritas, ai cappellani delle carceri e degli ospedali. Siete l’immagine viva del Buon Samaritano e contribuite non poco a rendere credibile la Chiesa.
Cari sacerdoti, se la Chiesa in Italia ha sempre il respiro del popolo, molto si deve ai suoi preti, particolarmente in questo frangente così delicato. Grazie di cuore. I vostri vescovi vi apprezzano, vi sono accanto e si sentono a loro volta sostenuti da voi. In questi giorni abbiamo continuamente condiviso consigli e decisioni, preoccupazioni e speranze. Continueremo così. Ci sentiamo anche noi, vescovi e preti, una grande famiglia.
La Pasqua del Signore ci sta davanti e si avvicina. Comunque andrà, quella di quest’anno sarà una Pasqua diversa, ma sappiamo bene che la potenza del Signore crocifisso e risorto non dipende dalle circostanze di un momento. Noi Lo adoriamo e Lo benediciamo perché con la Sua croce ha redento il mondo e, mentre oggi sentiamo soprattutto i segni della Sua passione, sappiamo bene che “se moriamo con Lui, con Lui anche vivremo, se perseveriamo, con Lui anche regneremo; (2Tm 2,11-12).
Grazie, cari sacerdoti, ringraziamo Dio per voi e con voi.

sabato 14 marzo 2020

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA



+ Dal Vangelo secondo Giovanni 4,5-42


In quel tempo, Gesù giunse ad una città della Samaria chiamata Sicar, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era un pozzo di Giacobbe. Gesù dunque, affaticato per il viaggio, sedeva presso il pozzo. Era circa mezzogiorno. Giunge una donna samaritana ad attingere acqua. Le dice Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi. Allora la donna samaritana gli dice: «Come mai tu, che sei giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non hanno rapporti con i Samaritani. Gesù le risponde: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu avresti chiesto a lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli dice la donna: «Signore, non hai un secchio e il pozzo è profondo; da dove prendi dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede il pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo bestiame?». Gesù le risponde: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi berrà dell’acqua che io gli darò, non avrà più sete in eterno. Anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui una sorgente d’acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore – gli dice la donna –, dammi quest’acqua, perché io non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua». Le dice: «Va’ a chiamare tuo marito e ritorna qui». Gli risponde la donna: «Io non ho marito». Le dice Gesù: «Hai detto bene: “Io non ho marito”. Infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero». Gli replica la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta! I nostri padri hanno adorato su questo monte; voi invece dite che è a Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le dice: «Credimi, donna, viene l’ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete, noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma viene l’ora – ed è questa – in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità: così infatti il Padre vuole che siano quelli che lo adorano. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorare in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia, chiamato Cristo: quando egli verrà, ci annuncerà ogni cosa». Le dice Gesù: «Sono io, che parlo con te». In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliavano che parlasse con una donna. Nessuno tuttavia disse: «Che cosa cerchi?», o: «Di che cosa parli con lei?». La donna intanto lasciò la sua anfora, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia lui il Cristo?». Uscirono dalla città e andavano da lui. Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose loro: «Io ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno gli ha forse portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Il mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Voi non dite forse: “Ancora quattro mesi e poi viene la mietitura”? Ecco, io vi dico: alzate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. Chi miete riceve il salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché chi semina gioisca insieme a chi miete. In questo infatti si dimostra vero il proverbio: uno semina e l’altro miete. Io vi ho mandati a mietere ciò per cui non avete faticato; altri hanno faticato e voi siete subentrati nella loro fatica». Molti Samaritani di quella città credettero in lui per la parola della donna, che testimoniava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregavano di rimanere da loro ed egli rimase là due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e alla donna dicevano: «Non è più per i tuoi discorsi che noi crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».






Meditazione di don Tonino Bello, Al pozzo di Sichar, appunti sulle alterità.



Il rapporto con l’altro, con il diverso, con coloro cioè che non erano riducibili alla sua norma, il Signore l’ha sfuggito o l’ha cercato? L’ha dribblato o l’ha provocato? L’ha temuto o l’ha desiderato?

E quando è avvenuto il confronto con l’altro, Gesù ne ha rispettata l’identità o l’ha violentata?

Nelle sue relazioni umane con il diverso, prevale in Gesù il “riconoscimento dell’alterità” o la “smania dell’omologazione”?


L’icona di Sichar



Per rispondere a queste domande, faremo ricorso ad una icona biblica tratteggiata nel capitolo quarto di Giovanni, ai versetti 1-44.

È l’icona del pozzo di Sichar. Sichar è una città della Samaria, sorta all’ombra della città di Sichem che un centinaio di anni prima di Cristo era stata distrutta.

Ebbene, fuori della città c’era un podere e presso questo un pozzo.

L’aveva fatto scavare Giacobbe “ per bere lui coi suoi figli e il suo gregge”, come racconta la Genesi (33,18).

Ebbene, presso questo pozzo un giorno venne a sedersi Gesù, stanco del viaggio che lo stava conducendo dalla Giudea verso la Galilea. E presso questo pozzo avvenne l’incontro memorabile tra Gesù e la samaritana.


Quattro motivi per scandalizzarsi


Letto il brano giovanneo, potremmo avanzare nei confronti di Gesù quattro capi d’accusa per l’atteggiamento trasgressivo messo in atto nell’episodio accaduto al pozzo di Sichar.

Ha parlato con una donna.

Ha parlato con una samaritana.

Ha parlato con una peccatrice.

Ha parlato con una scismatica.


Ha parlato con una donna


“Benedetto sei tu, nostro Dio, perché non mi hai fatto né pagano, né donna, né ignorante”. Era una formula di ringraziamento che la dice lunga sulla considerazione in cui era tenuta la donna ebrea.

Disdicevole era poi, per un rabbino, parlare in pubblico con una donna, fosse pure sua moglie.

Per cui la richiesta di Gesù è inaudita per gli usi vigenti al suo tempo.

Proprio no: un rabbì non poteva abbassarsi a tanto, dal momento che la donna era considerata di rango inferiore e tenuta in stato di inferiorità per tutta la vita.

Un detto rabbinico suona così: ”Non si deve star solo con una donna in un alloggio, neppure con la propria sorella o con la propria figlia, a causa dei pensieri degli uomini. Non si deve chiacchierare con una donna sulla strada, nemmeno con la propria moglie e men che meno con una donna altrui, a causa dei pettegolezzi degli uomini”.

Anche Dio, secondo la concezione giudaica, non ha parlato, evitandolo, con donne, ma solo con uomini. Per cui la donna non ha bisogno di conoscere la thorà. Rabbì Eleazoro diceva: “Sarebbe meglio che la legge andasse in fiamme, piuttosto che essere data in mano alla donna”.

L’atteggiamento di Gesù, quindi, che parla con una donna, è fortemente trasgressivo, al limite dello scandalo. Di qui il versetto 27: “giunsero i discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno, però, disse “che desideri?” o “perché parli con lei?”.

Un fatto è certo. I discepoli sono sorpresi che Gesù parli con una donna, non tanto che parli con una samaritana.


Ha parlato con una samaritana


Ed eccoci alla seconda trasgressione di Gesù, non meno grave della prima. Al limite dello scandalo anch’essa: “In realtà i Giudei non mantengono buone relazioni con i Samaritani”.

Per quale motivo?

Fondamentalmente perché quando gli Assiri, intorno al 700 A.C., invasero la Samaria e ne deportarono la popolazione scelta, in quella zona vennero inviati dei coloni assiri (2 Re 17). Questi, col passare del tempo, si fusero con la popolazione ebrea rimasta, dando origine a una razza mista che, naturalmente, mischiò le credenze.

Samaria, perciò, era la regione eterodossa, razza di sangue misto e di religione sincretista. Bastarda, insomma sicchè chiamare qualcuno col nome di samaritano ero uno dei peggiori insulti.

L’odio dei Giudei per i Samaritani traspare bene da questo feroce detto rabbinico: “Chi mangia pane dei Samaritani, è come uno che mangi carne di cane”.

E chi beve l’acqua? Che assurdo scandaloso che Gesù abbia chiesto a una samaritana: “dammi da bere!”.

Un giudeo autentico avrebbe accettato volentieri qualsiasi privazione piuttosto che toccare con le sue labbra l’orlo di un vaso dal quale avesse bevuto prima un samaritano.

I samaritani erano ritualmente impuri.

È davvero il colmo della trasgressione che Gesù accetti di bere al secchio di una donna malata d’impurità!


Ha parlato con una peccatrice



Questa donna ha avuto cinque mariti e, attualmente, conviveva con un amante. Una situazione a dir poco immorale.

Se i cinque mariti con cui ha vissuto siano morti o ella se ne sia separata, non ha molta rilevanza, sta di fatto che, secondo la concezione giudaica, ci si poteva sposare al massimo tre volte.

Il quinto matrimonio era, agli occhi degli ebrei, un peccato, e l’attuale relazione della samaritana con un sesto individuo costituiva un vero adulterio e una vergognosa vita di colpa.

Possiamo supporre che anche i Samaritani considerassero illecito contrarre matrimonio così ripetutamente.

Ci troviamo senz’altro dinanzi a una donna, che ha varcato i limiti del buon costume già sposandosi una quarta e una quinta volta, e che travalica ogni segno convivendo nei legami manifesti dell’adulterio.


Una donna rotta a ogni avventura



Ebbene, Gesù sa della situazione peccaminosa di questa donna e gliela rivela. Ma non si astiene dal parlare con lei. E si intrattiene in discorsi di alta spiritualità, senza quel disagio che potrebbero provare, ad esempio, un arcivescovo che si fermasse sulla statale 98 a parlare con “una di quelle” e a spiegarle magari una pagina dell’Imitazione di Cristo!

Come stile trasgressivo mi pare che Gesù raggiunga il culmine.



Ha parlato con una scismatica



L’odio tra Giudei e Samaritani non derivava solo da ragioni politiche o razziali, ma aveva anche profonde ragioni religiose.

Era successo sostanzialmente questo. Quando, dopo il ritorno dall’esilio, gli ebrei ricostruirono il tempio di Gerusalemme, i Samaritani non vi presero parte.

In un primo tempo avevano chiesto di unirsi anche loro nella costruzione, ma furono villanamente respinti. Sicché cominciarono a boicottare in vari modi la ricostruzione. Anzi si costruirono essi stessi un tempio sul monte Garizim.

Un vero e proprio scisma. Contornato da risentimenti ancestrali. E da un odio mortale, che raggiunge il vertice quando, nel 128 A.C., i Giudei distrussero il tempio samaritano del monte Garizim.

Centoquarant’anni dopo (nel 9 D.C.) alcuni samaritani avevano profanato il tempio di Gerusalemme durante le feste di Pasqua, spargendo ossa umane negli atri. Per questo fu loro proibito l’accesso al tempio.



Gesù di fronte all’alterità



Possiamo dire che la samaritana è la concentrazione delle alterità. O per lo meno delle alterità più emergenti.

L’alterità sociale, che non è solo anagrafica. Perché l’essere donna, ai tempi di Gesù, non è solo diversità anagrafica, ma anche culturale, giudaica.

L’alterità razziale. È una samaritana. Spregevole, quindi, per un ebreo nella cui mente veniva introdotto con forza il concetto di superiorità.

L’alterità morale. È una “poco di buono”. Che, per giunta, si confronta con un uomo Dio.

L’alterità religiosa. Appartiene ad un’altra parrocchia. A un’altra fraternità.

È un simbolo. È per questo che non ha un nome proprio.

Ed è un simbolo anche delle alterità più vistose con le quali anche noi oggi ci confrontiamo.

È per questo che l’atteggiamento di Gesù può offrirci un forte paradigma comportamentale.

Paradigma che può essere descritto con questi tre segmenti: Gesù rende questa donna, questa straniera, questa poco di buono, questa scomunicata:

- Protagonista di scambio e non semplice beneficiaria di un dono;

- Destinataria di una grande rivelazione di salvezza e non semplice terminale di parole consolatorie;

- Soggetto di missione “ad gentes” e non semplice spazio di annuncio.



[…]


Conclusione



Il Vangelo di Giovanni dice che i Samaritani pregarono Gesù perché si fermasse da loro. Ed egli vi rimase due giorni. E molti dicevano alla donna: “Non è più per la tua parola che crediamo, ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il Salvatore del mondo”.

Io voglio pensare che la samaritana non si sia minimamente offesa quando i suoi concittadini le hanno detto “Non è più per la tua parola che abbiamo creduto”.

Penso invece che quella sera, tornata a casa, non sia riuscita a prendere sonno per una eccedenza di felicità. E immagino che, con gli occhi spalancati, profondi come la notte, sul suo giaciglio non più insozzato dagli abbracci dell’adulterio, si sia a lungo fermata sulle parole udite a mezzogiorno “l’acqua che io ti darò diventerà in te sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna”.

Allora avrà pianto di tenerezza, questa giovane acquaiola, la cui arsura struggente della gola e quella procace della carne era stata spenta per sempre all’ora sesta presso il pozzo di Giacobbe.

Avrà pianto di gioia, perché era diventata titolare di un’acqua che veniva da lontano: “l’acqua che io ti darò”. No, non era acqua sua, si quella attinta tutti i giorni, con la vecchia brocca rimasta presso il pozzo, muta testimonianza di una riconciliazione radicale con l’altro. Lei donna, riconciliata con l’uomo. Lei samaritana, col giudeo. Lei peccatrice, col giudeo. Lei eretica e scismatica, con l’uomo di Dio e profeta.

Avrà pianto di tenerezza, perché quel giorno non era stata violentata nella sua identità. Identità che, anzi, veniva ricondotta ai suoi spessori più autentici, più veri e più profondi.

Ma avrà pianto di tenerezza, soprattutto, perché l’altro, a lei così diversa, quel giorno le aveva chiesto qualcosa. E l’aveva ritenuta finalmente degna di poterlo aiutare: “donna, dammi da bere”.




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